Helis intervista Paola Correddu, medica, cofondatrice del comitato Punta Giglio Libera
Ad Alghero è nato il Comitato “Punta Giglio Libera” che ha raccolto moltissime adesioni ed ha organizzato assemblee e manifestazioni molto partecipate. Cosa sta succedendo a Punta Giglio? Quali sono le richieste del Comitato?
Da alcuni mesi è come se la comunità algherese stesse vivendo in un incubo, catapultata in una dimensione paradossale dove, fuori da ogni elementare norma di buon senso e in contrasto con le disposizioni di legge vigenti, uno dei siti di maggior pregio dal punto di vista naturalistico e paesaggistico del Parco Regionale di Porto Conte (e proprio per questo sottoposto a massima tutela), il promontorio di Punta Giglio appunto, è oggetto di un progetto di trasformazione in chiave turistico-ricettiva che prevede l’avvio di una attività alberghiera con annesso ristorante e piscina.
Che non si tratti di un incubo ma della cruda realtà ce lo dice il rumore invadente dei caterpillar e del martellone che quotidianamente, ormai da due settimane, spaccano la carrareccia che porta su fino al compendio, compromettendone in maniera irreversibile l’integrità consolidata nell’arco di un secolo, per realizzare uno scavo profondo 50 cm, largo 20cm, lungo 4 km, una vera e propria opera di urbanizzazione e non certo una condotta domestica a cui è stata equiparata grazie allo spacchettamento del procedimento, da adibire al passaggio della rete idrico fognaria. Uno lavoro di scavo che abbiamo ragione di credere si stia realizzando in fretta e furia a causa dell’approssimarsi della scadenza di fine lavori, non ulteriormente prorogabile (2 agosto 2021) in assenza di autorizzazione (l’opera infrastrutturale non è stata valutata tecnicamente in sede di conferenza dei servizi né il documento ci è stato consegnato dopo specifica richiesta di accesso agli atti) e in assenza di qualsiasi forma di vigilanza e monitoraggio.
Che la realtà sia peggiore del peggior incubo, ce lo dice il progetto stesso di cui è oggetto l’ex batteria antinave presente sul promontorio, un progetto per così dire “liquido” che, nel corso della sua gestazione, ha subito una tale serie di mutazioni tanto da non conoscerne, oggi, la forma definitiva visto che viene aggiustato e ritoccato settimanalmente. Si è passati da un’idea progettuale, vincitrice del bando, incentrata su strutture mobili per l’accoglienza, completamente autosufficienti, senza bisogno di allacci alla rete, inserite in un circuito di servizi dedicati allo sport, ad un progetto talmente impattante con 70 posti letto, 100 coperti e piscina, da essere dichiarato irricevibile dalla Soprintendenza di Sassari, per finire con un progetto riveduto e corretto, tagliato e cucito da un nuovo progettista secondo i preziosi suggerimenti di Soprintendenza e Parco a cui, in sede di conferenza dei servizi, è stata introdotta la musealizzazione della struttura, un escamotage per giustificare un’attività produttiva che, di fatto, andrà a privatizzare gran parte del compendio oltre ad avere un impatto negativo su tutto l’ecosistema.
Per contrastare un progetto che viola un sito con così alti livelli di tutela e che sottrae di fatto e di diritto alla collettività un bene comune non solo in termini giuridici ma anche nella coscienza individuale e sociale più profonda, è nato il Comitato “Punta Giglio libera” che oggi vanta 5000 sottoscrittori nella petizione on line, 2500 sottoscrittori presso i banchetti, 8000 iscritti al gruppo facebook, una fetta importante di popolazione che chiede l’annullamento in autotutela del procedimento autorizzativo dell’intrapresa economica e la conseguente revoca della concessione in quanto trattasi di un progetto non compatibile con lo strumento urbanistico vigente.
Quale sono le forzature presenti nell’iter autorizzativo e che ruolo hanno avuto il Comune di Alghero, il Parco, la Soprintendenza, gli uffici di tutela del paesaggio in tale iter?
La lettura attenta di tutta la documentazione relativa all’iter approvativo, ha consentito di rilevare non poche incongruenze, omissioni, interpretazioni ardite delle leggi e delle norme. L’illegittimità di fondo consiste nel fatto che, per realizzare questo progetto occorreva una variante urbanistica che non poteva essere attuata in quanto lo strumento urbanistico vigente non è aggiornato al Ppr, mancando il PUC. Segue la fantasiosa giustificazione sulla destinazione d’uso – dove dormivano i soldati durante la 2 guerra mondiale ora dormiranno i turisti – data dal funzionario dell’uff. Edilizia Privata nel corso della conferenza dei servizi, a sottolineare come cambi il soggetto ma non la funzione, equiparando di fatto una caserma ad un albergo, una mensa ad un ristorante, il rancio con degli sfiziosi piatti di portata. E non meno illegittimo è l’aver avviato il procedimento decisorio per un’area di pregio come quella di Punta Giglio senza il dovuto coinvolgimento dei portatori di interesse diffuso, i cittadini, o il non aver inserito il progetto riguardante l’ex batteria all’interno del Piano di Gestione SIC/ZPS, parte integrante del Piano del Parco che, stando alla legge istitutiva, sarebbe dovuto essere approvato dai consiglieri comunali che, invece, neanche lo conoscevano.
L’impressione che si ha è che gli Enti chiamati ad esprimere il proprio parere abbiano avuto un atteggiamento aprioristicamente favorevole nei confronti del progetto, con una Soprintendenza che, da organismo deputato alla tutela paesaggistica, si è trasformata in suggeritore, adoperandosi in tutti i modi a trasformare un progetto irricevibile in un progetto potenzialmente accettabile, anche grazie all’intervento di un nuovo progettista, allievo del Soprintendente, ed un Parco che si è prodigato, ad assicurare la sostenibilità dell’intervento e la sua autorizzabilità , rendendo la proposta progettuale compatibile con il quadro vincolistico esistente.
Se Soprintendenza e Parco si sono trasformati in sponsor di un progetto commerciale privato, altri Enti hanno dato prova di superficialità e distrazione come il servizio di valutazione ambientale (SVA) della Regione che ha basato le sue valutazioni sulle dichiarazioni della cooperativa stessa e sulle spesso imprecise osservazioni prodotte dall’Ente Parco. O il Comune di Alghero che, nella determinazione di conclusione di conferenza dei servizi, riporta che l’atto è adottato sulla base delle dichiarazioni, autocertificazioni, attestazioni prodotte dal Cooperativa V Elemento, salvo poi farne verifica e controllo. E pilatesco appare il comportamento dell’ufficio tutela del paesaggio (UTP) che non partecipando alla conferenza dei servizi in quanto dichiaratosi incompetente ad esprimere parere, ha consentito che il suo parere venisse acquisito in forma di silenzio assenso, lasciando di fatto il procedimento monco di un parere fondamentale, quello paesaggistico regionale.
La politica e le Istituzioni, che dovrebbero tutelare il territorio ed i beni collettivi, spesso sono complici delle speculazioni. E’ così anche in questo caso?
Ormai la filosofia dilagante è quella di passare dalla tutela dell’ambiente alla sua “valorizzazione” (la classica parola magica per ammantare di sostenibilità operazioni che non lo sono affatto) in chiave turistica, vale a dire passare dalla preservazione dell’ambiente alla sua mercificazione, come un prodotto qualsiasi da mettere a profitto, per pochi naturalmente. Si vogliono scardinare le norme di tutela ambientale e del paesaggio aggirandole, forzandole perché, apparentemente, tutto appaia rispettoso dei vincoli. I nostri decisori politici, di qualsiasi area e a qualsiasi livello, dal nazionale al locale, sono ormai intrisi di questa filosofia, esclusivamente economicistica, pericolosa e sovversiva dei dettami della Costituzione, perchè antepone il profitto alla tutela del paesaggio e l’iniziativa economica privata all’utilità sociale. Anche in questa triste vicenda che vede protagonista in negativo Punta Giglio, si percepisce come tutti i soggetti coinvolti si siano prodigati per facilitare l’iter autorizzativo, addirittura cercando soluzioni e stratagemmi, al limite del grottesco, per consentire ad un progetto non congruo con lo strumento urbanistico vigente e con i vincoli del sito, di essere approvato.
Tutto questo è avvenuto inibendo i processi partecipativi, elemento fondante di una sana e matura democrazia, e impedendo alle comunità di essere parte nelle scelte che riguardano l’utilizzo delle risorse del proprio territorio. Ora che la comunità scende in campo per contrastare la devastazione di un luogo che sta a cuore a chi sa apprezzare la natura incontaminata, il silenzio, i profumi della macchia mediterranea e del mare, le Istituzioni, quelle elette per rappresentare e difendere i diritti collettivi, mostrano non poco fastidio per questo esercizio di democrazia, sottraendosi al proprio ruolo di dare risposte ai cittadini e chiedere conto della correttezza degli atti, delegando totalmente gli uffici comunali alla gestione di questa pratica, come fosse una pratica qualunque.