Referendum, eutanasia e autodeterminazione personale

di Stefania Taras.

In primavera si terrà il referendum sull’Eutanasia Legale che ha raccolto un 1.240.000 di firme, raddoppiando quelle sufficienti per la presentazione. 

Credo che tutti i sardi che si riconoscono nell’indipendentismo dovrebbero non solo votare al referendum ma esserne sostenitori attivi: l’autodeterminazione di un popolo passa inevitabilmente dall’autodeterminazione dell’individuo.

La massima autodeterminazione è decidere sul proprio corpo, sulla propria vita. Decidere liberamente se vivere nella sofferenza di una malattia terminale o degenerativa oppure smettere di soffrire cercando una morte legalizzata. 

Il referendum è l’unico strumento di democrazia diretta, seppur nell’ordinamento italiano è previsto solo quello di tipo abrogativo (ad esclusione del referendum costituzionale). Possiamo quindi abrogare una norma che prevede una condanna pesante per chi accompagna alla morte consenziente, possiamo sostituirci a chi dovrebbe rappresentarci e, invece, obbedisce spesso ad altri poteri che tolgono laicità alle istituzioni.


La società è molto più avanti di chi vorrebbe rappresentarla, ingabbiato da politiche di compromesso e influenzate dal Vaticano. Prova ne sono il milione di firme, di giovani soprattutto, ma anche di adulti, di uomini e donne che anche se non sceglierebbero mai la morte consenziente, lasciano a chi si trova a soffrire il libero arbitrio.

Sino ad oggi chi voleva interrompere il calvario, il dolore, doveva partire per la Svizzera, da privilegiato.

Durante un tavolo di raccolta firme ho incontrato una giovane donna che mi ha raccontato il calvario lungo nove anni del marito, nove anni bloccato al letto dopo un incidente. Senza sentire nessuno intorno, senza vivere, ma con dolori che nemmeno la morfina riusciva a calmare. Un calvario per lui e per i suoi cari impotenti. E’ morto soffrendo, dopo anni di pre-morte. 

Questo non dovrebbe mai succedere in un paese civile e laico.


La maggior parte dei popoli nativi aveva una figura, all’interno della comunità, preposta all’interruzione delle sofferenze. Lasciare andare consapevolmente o aiutare a morire una persona che non ha più speranze di vita e che soffre, è l’atto più umano e caritatevole che si possa fare. Questa figura in questo momento verrebbe punita e non è stata sostituita, pur avendo un ruolo importante nella comunità, da una figura professionale e istituzionalizzata.

Ai Cristiani che dicono che siamo nelle mani del Signore, rispondo che la pietà è un sentimento importante anche per la loro religione e che non possono rimanere distanti dal dolore dell’altro.

Noi indipendentisti vorremmo popoli liberi di costruirsi la propria soggettività istituzionale. Auspico che noi sardi domani opteremo per una repubblica laica che garantisce i diritti civili, sociali e umani. Quindi penso che coerentemente oggi  dovremmo sostenere chi vuole liberarsi consapevolmente del proprio dolore, con una legge che permetta di farlo legalmente.

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