di Massimo Ragnedda*
Soffiano forti i venti di guerra. In molti spingono per una escalation militare. In troppi lavorano per alzare il livello dello scontro.
Per la prima volta, da instancabile ottimista, non escludo una guerra diretta – indirettamente è già in atto – tra NATO e Russia. Una guerra che avrebbe esiti devastanti. Incalcolabili. Un’ipotesi alla quale è meglio non pensare. Un’ipotesi che escludevo in maniera assoluta, poiché confidavo – ed ancora confido – nella razionalità dell’essere umano. Non esistono vincitori e vinti in una guerra nucleare.
Non ci sono alternative al negoziato. “La pace si negozia con i nemici”, ricordava Yitzhak Rabin, primo ministro israeliano poi ucciso da estremisti ebrei proprio perché cercava la pace.
Chiedere una no fly zone, continuare a inviare armi e ad alzare il livello dello scontro non può che prolungare l’agonia di questa guerra. Per la Russia è semplicemente inaccettabile – e su questo non negozierà – che l’Ucraina faccia parte della NATO e che, oltre ad avere le armi puntate addosso, le sarebbe (quasi) precluso l’accesso al mar Nero che sarebbe interamente controllato dalla NATO (Ucraina e Turchia). Nessun paese, a meno che non sia controllato da un Eltsin di turno, può accettare questo. La NATO lo sapeva. La NATO lo sa.
Capisco chi sostiene che inviando armi all’Ucraina si indebolisca Putin e si possa ottenere di più dai negoziati, ma così facendo si usa un paese, l’Ucraina, come una trappola per topi, per usare la celebre espressione usata da Zbigniew Brzezinski – storico consigliere del presidente Carter per la sicurezza nazionale – quando l’Unione Sovietica invase l’Afganistan (1979). L’Afganistan allora contribuì alla caduta dell’Unione Sovietica, e oggi qualcuno spera che Putin si indebolisca impantanandosi in Ucraina.
Per questo si usa l’Ucraina come trappola per Putin. Ma in quella trappola vivono milioni di persone che stanno pagando e pagheranno un prezzo altissimo. Per questo – e non da ora – si arma l’Ucraina, sacrificandola pur di indebolire la Russia e isolarla internazionalmente. Un calcolo macabro. Un gioco pericoloso. Per gli ucraini in primis.
Razionalmente mi e vi chiedo: ma ne vale veramente la pena rischiare un conflitto nucleare per far entrare l’Ucraina nella NATO? Cosa ci cambierebbe, da un punto di vista di sicurezza, sapere che l’Ucraina fa parte dell’UE ma demilitarizzata, esattamente come la Finlandia o la Svezia? L’Ucraina avrebbe potuto continuare ad essere quel ponte tra Europa e Russia che, tra le altre cose, eviterebbe di spingere la Russia tra le braccia cinesi.
L’idea di un nuovo Hitler (mica nuova come analogia visto che, tra l’altro, è già stato usato per Saddam Hussein, Milosevic e Assad) non regge. Mi pare una banalizzazione.
L’idea che la Russia, dopo l’Ucraina, possa invadere la Polonia o i paesi baltici e poi marciare dritto verso Roma (per far cosa?) è senza senso alcuno. Un conto è invadere l’Ucraina per evitare che diventi membro NATO (proprio perché, una volta membro NATO, non si potrà farlo), un conto è invadere un paese già membro dell’alleanza Atlantica. Sarebbe un suicidio. Per lui e per la Russia. E non solo.
L’idea che Putin sia pazzo non mi convince. Mi pare una banalizzazione della storia. Una semplificazione che non tiene conto del contesto storico e geopolitico. È cinico e spietato, ma non pazzo. Ha invaso e bombardato un paese sovrano. Come fatto da Clinton nel 1999, da Bush nel 2001 e 2003, da Obama nel 2010. Un criminale, se volete, ma non un pazzo. Spietato, ma non pazzo. Cinico, ma non pazzo.
Queste sono banalizzazioni che servono per ridurre la realtà in maniera manichea. Ma la realtà ha mille sfumature di colori. E di grigio. Putin sa benissimo che invadendo un paese NATO si scontrerebbe con la NATO, cosa che non conviene a nessuno. Soprattutto a lui e alla Russia.
Putin è però determinato e lo ha dimostrato nella guerra in Georgia, in Cecenia, nell’intervento in Siria e ora in Ucraina, dove per ora sta conducendo una guerra a bassa intensità, se paragonato a quanto fatto in Cecenia.
Come ogni grande potenza militare è determinato a tutelare i propri interessi. Con la forza se necessario. Come fanno da sempre le grandi potenze. Come gli Stati Uniti fanno dal dopoguerra (anche prima, a dire il vero), prima con la dottrina Truman, poi con la dottrina Carter successivamente estesa da Reagan con una sorta di corollario.
Ogni paese, se può permetterselo militarmente, tutela i propri interessi anche oltre confine. Tranne l’UE, vera sconfitta di questa guerra che sta mostrando l’inadeguatezza della sua classe dirigente. Spaccata più che mai tra falchi (Polonia e paesi Baltici) e colombe (Francia e Germania). Ognuno con la propria agenda. Ognuno pronto a tutelare i propri interessi, anche a discapito dell’altro.
Questa guerra, anche se non dovesse trasformarsi – come tutti speriamo – in un conflitto aperto, sta distruggendo le nostre economie, la ripresa economica e metterà a rischio la tenuta sociale dei nostri paesi. Nell’UE sarà l’Italia, assieme alla Germania, a pagare il prezzo più alto. Interi settori saranno devastati dalle sanzioni economiche, dalla cantieristica all’agricoltura, dal settore lusso al turismo. Pagheremo un prezzo altissimo. Non so, francamente, come riusciremo a gestire la crisi.
Per questo ero convinto che saremmo riusciti ad evitare questa guerra. Razionalmente era una follia. Il prezzo era troppo alto. Eppure erano e sono in troppi a spingere per un’escalation.
E per quanto razionalmente creda che un confronto diretto non ci sarà, non escludo “errori” o false flag per alzare ancora di più lo scontro.
Quando sento parlare di “limiti da non superare” (se la Russia usa armi chimiche dobbiamo intervenire, ci ha ricordato il premier polacco) mi si gela il sangue.
Significa che qualcuno, più di uno, vuole alzare il livello dello scontro e aspetta, o crea, il pretesto per entrare in guerra. Il maccartismo, la caccia alle streghe, la russofobia ci stanno spingendo a chiedere un’escalation. Cosa che invece dobbiamo bloccare, perché non ci sono alternative ai negoziati.
*PhD in Theory and Practice of Communication and Intercultural Studies, University of Sassari. Dissertation Title: Propaganda between Dictatorship and Open Society: a critical contribution.
Areas of research and teaching interest: social movements; cyberactivism; web 2.0; new media studies, globalization studies; surveillance studies; the new media power; critical theory, modernism and postmodernism theory.
Teaching Experience: 2006-present, Lecturer of Sociology of Culture and Communication, University of Sassari.