Le elezioni, i dati, la partecipazione, l’astensione, il ruolo presente e futuro dell’indipendentismo, le nostre categorie politiche
La metà non basta, caduta libera
In Sardegna poco più del 50% degli elettori aventi diritto si è recato alle urne. Se al dato della partecipazione del 53,17% sottraiamo il 2,6% di schede bianche o annullate rimane solo uno striminzito 50,57%. In numeri assoluti significa che su 1.340.551 elettori solamente 644.221 persone hanno scelto di sostenere uno dei partiti in lizza.
Salvo rari momenti di leggero recupero sistematicamente seguiti da nuovi cali la curva della partecipazione alle elezioni italiane in Sardegna è in costante discesa dal 1948; segue da vicino l’affluenza registrata a livello statale, posizionandovisi mediamente 4 punti sotto con un divario negativo che si amplia sensibilmente solo nell’ultimo quindicennio. Nei primi sessant’anni di elezioni repubblicane italiane infatti il calo della partecipazione in Sardegna è stato complessivamente di 12 punti percentuali mentre negli ultimi quindici anni l’ulteriore diminuzione è stata di circa il 30%.
Anche la partecipazione al voto per le elezioni nazionali sarde è in costante calo e in trent’anni è passata dall’85 al 54% allineandosi dopo ben quattro decadi alla partecipazione sarda alle elezioni italiane.
L’indipendentismo non c’entra
La tendenza calante dell’affluenza alle urne in Sardegna sembra storicamente totalmente indipendente dal grado di organizzazione e di presenza delle forze indipendentiste o autonomiste: cala o recupera qualche punto percentuale sia nelle occasioni di una relativa affermazione delle forze della nostra area sia quando siamo totalmente assenti. Inoltre non si notano miglioramenti nella partecipazione neanche in prossimità dei recenti risultati più incoraggianti dell’area indipendentista e autonomista alle elezioni nazionali sarde per il rinnovo del Consiglio della RAS. In particolare negli ultimi venti anni si registra il maggiore grado di astensionismo proprio in occasione dei migliori risultati per l’indipendentismo e l’autonomismo.
Appare quindi molto difficile immaginare che la scarsa affluenza possa essere in qualche modo connessa alla coscienza nazionale delle sarde e dei sardi e alla loro conseguente disaffezione rispetto allo Stato o all’identità italiana. Come risulta quasi impossibile percepire concretamente gli effetti dei coerenti appelli di alcune forze indipendentiste all’astensione. Tanto più in un momento in cui l’indipendentismo sta vivendo una della sue fasi di maggiore stasi in termini elettorali, organizzativi e di presa sociale. È anche per questo motivo che le forze politiche coinvolte nel processo Est Ora hanno scelto di evitare pronunciamenti in merito alle elezioni italiane.
Su questo aspetto potremmo semplicemente ipotizzare che l’elettore autonomista e indipendentista è più costante e determinato di quello che vota partiti italiani il quale più facilmente sceglie di restare a casa.
Qualcosa di positivo
Forse è proprio su questa ipotetica maggiore costanza dei votanti autonomisti e indipendentisti che la nostra area può sperare di riuscire a ricostruire una proposta convincente in termini di prospettiva politica e di sua adeguata comunicazione. Proprio in una fase in cui i flussi elettorali fanno continuamente riversare enormi fette di consenso tra partiti della stessa coalizione e tra partiti di coalizioni diverse l’eventuale maggiore fidelizzazione del voto della nostra area potrebbe essere un primo punto di appoggio per una proposta sensata e per il rilancio complessivo delle nostre forze politiche.
Di cosa stiamo parlando
Quando in casa indipendentista approcciamo il tema delle elezioni siamo quasi sempre risucchiati dal vortice del ragionare in termini di vittoria o sconfitta. Come se una vittoria fosse realmente alla nostra portata. Come se ci trovassimo in una situazione simile a quella catalana o scozzese nella quale realmente la posta in gioco possibile è quella di formare un governo indipendentista. Ma proprio perché seguiamo da vicino e studiamo da anni le vicende dell’indipendentismo internazionale dovremmo essere ben coscienti del fatto che in Sardegna siamo indietro di ere geologiche; e che quindi non ha alcun senso qui da noi tentare di escogitare di punto in bianco soluzioni per la nostra vittoria. Vent’anni di attivismo e di tentativi non sono niente rispetto alle dilatatissime vicende del rapporto tra nazione sarda e Stato italiano, dobbiamo avere pazienza, ragionare a lungo periodo, ricominciare da zero nella costruzione e nell’espansione dell’idea nazionale e della coscienza storica personale e collettiva, avere presente che la nazione vive solo all’interno della nostra piccola bolla politica, osservare le enormi praterie della schiacciante maggioranza di sarde e sardi che neanche si pongono il problema della loro appartenenza politico-culturale, seminare oggi quel che forse germoglierà quando saremo anziani e che darà frutti sicuramente quando a fare politica saranno i nostri nipoti.
E forse dobbiamo semplicemente intenderci sui concetti di vittoria e di sconfitta perché sono molto ambivalenti e per ciascuno di noi possono assumere sfumature e obiettivi anche opposti. Per alcuni vittoria è andare al governo della RAS; per altri vittoria è piazzare qualche eletto grazie ad alleanze con partiti italiani; altri ancora potrebbero legittimamente puntare a vincere nomine di sottogoverno. Per alcuni sconfitta è candidarsi per fare mera testimonianza della propria esistenza; per altri sconfitta è non candidarsi mancando totalmente l’appuntamento elettorale.
Flusso di pensiero
Per quanto mi riguarda – e su questo nonostante decennali riflessioni non sono riuscito ancora a cambiare idea – la vittoria che può permettersi il nostro indipendentismo, se scegliamo di essere presenti alle elezioni, è quella di candidarci senza stringere alcun tipo di alleanza italiana con lo scopo di renderci pubblici, di avere l’occasione di conoscere e attivare persone, di girare nel territorio e di entrare nelle comunità, di marcare la nostra presenza in seno alla lunga linea di continuità dell’indipendentismo sardo. Ma senza commettere l’errore di vivere il passaggio elettorale come fulcro della nostra attività, come qualcosa di salvifico che può aprirci le porte della paradisiaca vittoria totale perché questo genera fisiologicamente illusioni che puntualmente sfociano in frustrazione, disillusione e allontanamento.
Noi dobbiamo semplicemente essere coscienti delle nostre possibilità date dal nostro grado di organizzazione, di presenza nel territorio e di proposta politica. Il momento elettorale è solo un piccolo tassello di un lavoro molto più faticoso e lungo: quello della strutturazione del nostro indipendentismo, della tessitura di reti umane prima che politiche, dell’elaborazione di soluzioni utili alla nazione e comprensibili da parte del popolo. Ed è proprio quel che abbiamo iniziato a fare con iRS, ProgReS e Torra nell’àmbito del prezioso processo di dialogo Est Ora, uno dei rari momenti di unione di forze e persone.
In quest’ottica è chiaro che per noi pensare di poter andare al governo è un esercizio di pura fantapolitica. Eleggere qualche consigliere grazie ai partiti italiani è una scorciatoia illusoria che peraltro non dà neanche i frutti sperati sia perché gli eventuali eletti rischiano altamente di essere fagocitati dal sistema e di scomparire nella burocrazia del palazzo sia perché una volta eletti all’interno di una coalizione italiana, anche con un singolo consigliere, la percezione di massa ci rubrica retroattivamente e per sempre come parte indistinta del potere spegnendo la veritiera percezione del nostro agire politico che peraltro starebbe appena rinascendo. Infine, lottare per ottenere qualche posto di sottogoverno non rientra antropologicamente nelle nostre opzioni.
Per noi tutti questi tipi di vittorie sono sinonimo di sconfitta. La nostra vittoria deve essere quella che ci siamo meritati con il lavoro delle nostre menti e i chilometri delle nostre gambe, senza fretta ma inesorabili. Noi non lottiamo per il potere, noi vogliamo che il potere agisca con buon senso nell’interesse della nostra nazione, che il potere sia sottoposto ai diritti del nostro popolo, che il potere risponda all’urgente legittimità democratica della nostra libertà.
E gli altri indipendentismi?
Il nostro è un approccio politico come tanti altri, né migliore né peggiore degli altri, semplicemente è il nostro, va rispettato come vanno rispettati tutti gli altri.
È da ben prima dell’inizio del processo di dialogo Est Ora che abbiamo scritto e detto chiaramente che per noi ogni opzione politica, ogni strategia e ogni tattica adottata da forze indipendentiste non solo è ovviamente legittima ma non deve essere oggetto di attacchi sterili o di contrapposizioni strumentali. Ciascuno sceglie il suo campo d’azione, i suoi obiettivi, le sue parole d’ordine, la sua immagine pubblica. Sarebbe prezioso e utile che i vari approcci all’agire indipendentista fossero coordinati macroscopicamente da un tavolo di regia e concertazione nazionale tra le varie forze anche se impegnate in percorsi differenti, come avviene nella politica di molte nazioni senza Stato. Abbiamo tentato già da tre tornate elettorali nazionali di trasmettere questa proposta ad alcune altre forze politiche dell’area ma non siamo riusciti nell’intento di farci comprendere a fondo. Come minimo sindacale sarebbe almeno buona regola che prima di aprire bocca per criticare altri indipendentisti si sia già parlato di tutti i partiti italiani, di tutti i loro assessori RAS e dei loro parlamentari in Italia, delle loro azioni e delle loro assenze.
Di cosa abbiamo bisogno? Prima parte
Sicuramente abbiamo bisogno di un nuovo assetto e di una rinnovata agibilità politica per il nostro indipendentismo: un’opzione politica progressista, euromediterranea, ecologista, nonviolenta e antirazzista che agisce già nell’oggi nella prospettiva di una futura Repubblica di Sardegna. Che lavora affinché vengano rispettati gli interessi e le esigenze del popolo sardo in termini culturali, economici e sociali: per la sostenibilità ambientale, la giustizia sociale e la liberazione nazionale. Che lavora per collocare anche politicamente la nostra terra al centro del Mediterraneo, in stretta collaborazione in primis con le altre nazioni senza Stato. E che mantiene la barra dritta di un indipendentismo coerente estraneo a qualsiasi collaborazione elettorale con partiti italiani. Abbiamo bisogno di una nuova leva di classe dirigente indipendentista repubblicana caratterizzata da onestà politica e personale cristallina, da disinteresse, da spirito di servizio, che dimostri ancora una volta che l’indipendentismo non è protesta ma è proposta; una classe dirigente che sappia interpretare il percorso che ci porterà ad amministrare nuovamente la cosa pubblica su larga scala, a cominciare dalle comunità locali, certificando le nostre competenze e la nostra dedizione al bene collettivo. Abbiamo bisogno di uno strumento che ci permetta di comunicare tutto il nostro bagaglio e tutto il nostro forziere di idee e soluzioni in tutti i campi. Abbiamo bisogno di una nuova casa per tutti gli attivisti e i militanti storici e per le nuove leve che sapremo attrarre alla nostra politica. Abbiamo bisogno di un faro ideale e autorevole e di un’area golenale politica e morale che indica l’argine della coerenza e dell’autorevolezza per tutta la nostra area vasta politica. Abbiamo bisogno di un nuovo esempio e di nuove prassi credibili e suadenti. Ci stiamo lavorando e abbiamo bisogno di tutte le competenze e le intelligenze che vorranno mettersi a disposizione di questo percorso.
Di cosa abbiamo bisogno? Seconda parte
Ma più complessivamente abbiamo altrettanto bisogno che altri diano vita a una seconda forza indipendentista e/o federalista che riconosce senza indugi la nazione sarda e che raccoglie la grande messe di persone democratiche e favorevoli al diritto all’autodeterminazione che si sentono meglio rappresentate da un soggetto che di volta in volta può scegliere se allearsi con il nostro indipendentismo o se farlo con una delle coalizioni italiane. Una seconda forza politica che consenta a chi ha una sana predisposizione alla trattativa e alla mediazione di mettersi al servizio della nazione sarda all’interno dei farraginosi gangli decisionali del potere autonomista. Una forza che fa da ponte tra il nostro indipendentismo e l’autonomismo ma che per la prima volta in Sardegna interpreta un autonomismo nazionale invece che un autonomismo unionista. Un lavoro diverso dal nostro, ma parimenti utile alla costruzione di un futuro prospero per la Sardegna. Basta guardare alle esperienze della Corsica, della Catalogna e dei Paesi Baschi per renderci conto dell’utilità dell’interazione tra i due tipi di indipendentismo o tra l’indipendentismo e l’autonomismo nazionale ai fini dell’acquisizione di enormi fette di sovranità, dell’aumento della coscienza nazionale, dello sviluppo di politiche a favore della cultura e della Lingua, dell’affermazione di logiche economiche sintonizzate con gli interessi della nazione e non dello Stato. Questo lavoro in parallelo tra i due filoni politici peraltro dà i suoi frutti sia in presenza di governi di unità nazionale sia nel caso in cui si sceglie di intraprendere percorsi diversi. Perché l’uno funge al contempo da sprone e da parametro per l’altro.
In questo senso è auspicabile che gli indipendentisti disponibili all’interazione con i poli italiani affianchino settori dell’autonomismo unionista per aiutarli a portare a compimento un percorso di evoluzione, quantomeno verso un autonomismo nazionale sardo. Ad esempio, per parlare di cose concrete, sarebbe stato utilissimo che l’esperienza di Progetto Sardegna invece di essere sprecata e sciolta a favore del progressismo unionista avesse intrapreso un percorso di strutturazione di un autonomismo nazionale sardo.
Da parte nostra assicureremmo a questo tipo di progetti il rispetto dovuto, l’eventuale collaborazione disinteressata e costruttiva e la condivisione, pur nella differenza, di strategie generali e tattiche contingenti.
Cosa diranno le elezioni nazionali?
L’appuntamento delle prossime elezioni nazionali sarde incombe. Rappresenta, come ogni momento di cambiamento, un’opportunità e un rischio. Sta a tutti noi saper soppesare correttamente pro e contro, evitare contrapposizioni superflue e dannose, interiorizzare il concetto che la condicio sine qua non di risultati utili non è tanto l’unità in se stessaquanto la comunione di intenti nella pluralità dell’offerta. Perché la storia ci insegna che giustamente non è la semplice somma di tante debolezze che paga ma è la proposizione di un’idea di nazione, plurale e composita, che può entusiasmare e attrarre appoggio e consenso.
Non dobbiamo mai perdere di vista il dato di fatto che qualsiasi atto sconsiderato, qualsiasi comunicazione inadeguata, qualsiasi azione di solipsistica fuga in avanti senza copertura politica e consenso sociale si ripercuote omogeneamente sul complesso delle forze politiche della nostra area.
Le elezioni nazionali diranno quello che sapremo fargli dire. Lavoriamo serenamente rimanendo sul piano di realtà – una realtà dura e spietata in tutti i campi e in tutti i sensi – senza costruirci floridi, idilliaci e fantastici e mondi paralleli.
Il grafico
Per aiutarci nell’analisi del passato e nella progettazione del nostro futuro abbiamo realizzato un grafico che indica in parallelo una moltitudine di dati.
Partiamo dall’andamento dell’affluenza alle elezioni italiane sia in Sardegna (in azzurro) sia a livello statale (in grigio) e alle elezioni nazionali sarde (in verde). Nella parte bassa compaiono i risultati ottenuti dal 1948 ad oggi alle elezioni sarde dai partiti indipendentisti (verde scuro) e federalisti (verde chiaro). Tali dati sono inoltre affiancati dai risultati ottenuti dalla somma di federalisti e indipendentisti alle elezioni italiane (azzurro).
Nell’àmbito delle consultazioni per il rinnovo della Camera dei Deputati italiana il risultato più alto su base sarda è stato il 12,6% ottenuto dal Psd’Az e dal Partidu Indipendentista (0,68%) nel 1987. Negli ultimi venti anni le formazioni sarde, se presenti, non hanno mai ottenuto più del 3,5%.
Per quanto riguarda le elezioni nazionali sarde il risultato più alto della storia ottenuto dalla somma di tutte le forze politiche sarde è quello del 2014 quando iRS, ProgReS, Unidos, Psd’Az, PdS, Rossomori, Gentes, Comunidades, UdS, le due liste Zona Franca, la lista Mauro Pili Presidente, Fortza Paris e Soberania raccolgono in ordine sparso il 29,4%, candidati sia in due coalizioni indipendenti sia nelle due coalizioni italiane. Considerando solamente le forze dichiaratamente indipendentiste il risultato si aggira attorno al 7%.
Cinque anni dopo, nel 2019 le forze indipendentiste raccolgono il 7,71% candidate in tre coalizioni sarde indipendenti da quelle italiane. Mentre l’insieme delle forze politiche sarde ottiene il secondo risultato più alto della storia con il 17,6%, avvicinato solo nel 1949 dalla somma dei risultati del Partito Sardo d’Azione e del Partito Sardo d’Azione Socialista.
Categorie politiche
Per evitare fraintendimenti il grafico riporta come federalista (verde chiaro) tutta l’esperienza politica storica e presente del PSd’Az, anche nella fase della svolta indipendentista degli anni ’80 del secolo scorso, perché secondo i nostri canoni e in base alle dichiarazioni dell’epoca di Mario Melis quel tipo di indipendentismo non è rubricabile come repubblicano e nazionale bensì come federalista e unionista. Siamo di fronte ad un unicum nella storia politica europea, in nessun’altra nazione è mai stato utilizzato da grandi forze politiche il termine indipendentismo per significare la volontà di rendersi indipendenti per poi immediatamente federarsi allo Stato. Ciò emerge chiaramente dai concetti e dalla terminologia dello stesso Presidente Melis dove la Sardegna è regione, la nazione e il Paese sono l’Italia, l’indipendenza è lo strumento per realizzare il federalismo, l’indipendentismo non è separatismo, il sardismo è storicamente al servizio della costruzione nazionale, militare e partigiana italiana e il Presidente della Repubblica è il garante della non subalternità dei sardi a livello statale.
“Il federalismo non si realizza se non tra eguali. E la via è l’indipendentismo. E allora di che cosa si rammaricano i nostri amici di governo? Di che cosa si lamentano? Il nostro indipendentismo è funzionale, base essenziale e irrinunziabile del federalismo. Come possono mistificarlo con una forma larvata di separatismo che il Partito Sardo non ha avuto mai, neppure nelle sue lontane origini dai Bellieni ai Pilia, dai Lussu ai De Lisi e agli altri, né mai si è riproposta neanche negli anni avvelenati e persecutòri del fascismo e neppure in quelli della Resistenza dove i sardisti erano testimoni e protagonisti. Siamo noi gli anti-italiani? No, non hanno lezioni da darci, nessuno. Noi siamo consapevoli del ruolo responsabile che ci è affidato. No, non siamo dei velleitari, non stiamo accendendo fumisterie generiche, rifiutiamo la subalternità, questo sì. La subalternità che ci è stata imposta, che non ci siamo scrollati di dosso neppure con un autonomismo che non ha risolto i nostri problemi. Oggi quando parla il Presidente della Giunta regionale sarda si interessano i giornali nazionali, se ne interessano i giornali internazionali. Sardisti, stamane vi ho rivolto il mio primo saluto attraverso le parole affettuose e vibranti del Presidente della Repubblica [Cossiga] che è un sardo e ci conosce. Lui ci saluta e ci rende onore e con questo onore noi andiamo a contrastare quelle subalternità che il Paese ci vuole imporre e che proprio nel Presidente della Repubblica dovrà trovare il primo garante”.
La riproposizione da parte nostra di queste dichiarazioni di Mario Melis – di cui forniamo anche la versione integrale – non serve a criticarle, a criticare aprioristicamente tutto l’operato dell’ex Presidente della RAS o per marcare differenze già chiare tra il nostro indipendentismo repubblicano e altri tipi di indipendentismo bensì a rendere ancor più tangibile l’impellente necessità sia di un rinnovato e rinvigorito indipendentismo repubblicano sia di un autonomismo nazionale che, sotto stretta marcatura di un indipendentismo coerente, non lavora per l’affermazione della dignità dei sardi nel quadro italiano ma per l’affermazione del nostro diritto all’autodeterminazione nel quadro mondiale.