Oggi i movimenti indipendentisti, dopo anni di battaglie in prima linea su tutte le questioni che ancora oggi risultano scottanti nella società sarda, attraversano una fase di ricostruzione, di riorganizzazione, di rielaborazione del proprio essere e del proprio agire.
Una fase ciclica quasi ventennale che ci attraversa da sempre. Come un filo storico astratto che ci mantiene in collegamento con il periodo Giudicale quando Eleonora d’Arborea diceva che la Carta de Logu rimasta immutata per 16 anni doveva essere aggiornata perché la società si era evoluta o comunque modificata e quelle norme dovevano essere attualizzate, al passo coi tempi.
Così è stato anche nei primi anni 2000 quando da una fase di stallo e rielaborazione dell’indipendentismo è nato iRS che con il suo agire nonviolento, democratico, moderno e con le sue forme di comunicazione ha fatto irruzione nella politica sarda e internazionale attirando a sé come una calamita politica la nuove generazioni, caricandole di entusiasmo e prospettive nuove.
Quasi in concomitanza è nato Progetto Sardegna guidato da Renato Soru, che non era un movimento indipendentista ma era comunque un progetto indipendente slegato dai partiti italiani, probabilmente tra i più interessanti nati nell’Isola, che metteva la Sardegna al centro del suo agire e ha coinvolto con grande passione una buona parte della società sarda. In quel periodo viaggiavamo quasi su binari paralleli. Qualche volta su alcune battaglie ci siamo incontrati, su qualche altra ci siamo scontrati ma sempre con lealtà e rispetto. La più grande sconfitta di Progetto Sardegna è probabilmente quella di essersi sciolto per confluire nella sinistra italiana pensando di poter salvare la Sardegna partendo dall’Italia.
Aldilà di come è andata a finire penso di poter affermare che uno dei meriti delle indipendentiste e degli indipendentisti di iRS è quello di aver sdoganato il concetto di indipendenza, che per anni era stato relegato a folklore, quindi roba morta, irrompendo nello scenario politico con un salto in avanti che è riuscito a trascinare concettualmente una buona parte della società sarda e della classe politica sulle battaglie storicamente indipendentiste.
Pietrino Soddu, padre dell’autonomia, da anni grida nel silenzio che l’autonomia è superata, morta, finita. Ha esaurito il suo percorso storico.
Anche Massimo Dadea già dieci anni fa è stato uno dei primi politici non indipendentisti a scrivere che per la sinistra considerare la sovranità e l’indipendenza un tabù intoccabile, significa condannarsi alla marginalità e alla subalternità.
Allo stesso tempo al centrosinistra sardo, salvo rari casi, sembra non interessi alimentare questo processo. Al contrario, continua a cercare di frenarlo. La sinistra dialoga con gli indipendentisti o sedicenti tali solo in periodo elettorale.
Ma oggi alla Sardegna non serve un processo elettorale, lo abbiamo già sperimentato nel 2014 dove abbiamo appurato che nonostante le pressioni indipendentiste, quando lo Stato italiano minaccia, il centro sinistra obbedisce. Ma per uscire dallo stallo serve un punto di rottura che porti ad nuova direzione di senso e inneschi un processo storico, popolare, aperto, democratico, che coinvolga davvero tutte le forze attive della nazione sarda per dare vita a quella fase costituente che traghetterà la Sardegna fuori dalle sabbie mobili dell’autonomia per andare verso l’indipendenza possibile.
Dobbiamo stabilire come farlo, questa è la sfida. Ma l’obiettivo dev’essere chiaro.
Non lo si farà sicuramente in queste elezioni che in questo momento politico arrivano quasi come una disgrazia, una devianza che ci rende strabici rispetto alla delicatezza del momento storico che stiamo attraversando.
Per questo è basilare non creare false speranze. Dobbiamo avere il coraggio di ammettere con franchezza che in Sardegna la sinistra di governo, oggi, non esiste. Esistono due gruppi di potere che si chiamano centrodestra e centrosinistra ai quali non interessa assolutamente mettere in moto processi politici di emancipazione e tantomeno di traghettare realmente il popolo sardo e le sue istituzioni verso una nuova fase storica. Per il semplice fatto che loro stessi rappresentano la fase vecchia, cioè quella attuale. Diversamente oggi non saremmo in questa situazione di stallo, dove impera un’apatia soporifera e una distanza abissale tra politica e cittadini.
Allora penso che dobbiamo fare una netta distinzione tra sinistra di Stato e di occupazione e sinistra sarda di liberazione. La prima è quella che oggi occupa posti di potere e di governo, la seconda sono tutte quelle persone e personalità che si identificano negli ideali di sinistra ma che negli anni si sono sentite mortificate, deluse, frustrate dal cosiddetto centrosinistra e lo hanno abbandonato al punto che oggi il centrosinistra è sempre più di centro e sempre meno di sinistra.
Son d’accordo con Dadea quando scrive: “Iniziamo a tratteggiare i contenuti del nuovo Statuto: un nuovo patto di rango costituzionale tra la Sardegna e lo Stato italiano. Un patto tra eguali, senza vincoli gerarchici. Mentre sul piano sostanziale deve contenere più poteri, soprattutto su tutte quelle questioni dove più incidente ed invasiva è la presenza dello Stato: servitù militari, energia, paesaggio, ambiente, ruolo internazionale della Sardegna.” E sono d’accordo anche con la visione di una “Sardegna la protagonista di un nuovo e proficuo dialogo tra l’Europa e l’Africa, volto a creare uno spazio di solidarietà, sicurezza, pace, sviluppo e prosperità sostenibile”.
Rimane un nodo da sciogliere: chi deve scrivere questo patto? Quella élite che ha governato fino ad oggi portando la Sardegna in uno dei momenti storici più bui, oppure dobbiamo creare un punto di rottura dal quale ripartire, aprendo una nuova fase popolare che coinvolga la parte viva e attiva della società sarda, i movimenti indipendentisti, gli artisti, gli intellettuali, i lavoratori e tutte quelle forze libere e di sinistra che hanno vissuto per anni frustrate dai giochi di potere del centrosinistra italiano? Credo che sciogliere questo nodo sia la base per l’inizio di un ragionamento.
È vero che parlare di indipendenza oggi non è più un tabù, ma è altrettanto vero che parlare probabilmente non basta più. È tempo di agire.
E credo anche che, onestamente, il mezzo per arrivare ad una nuova fase costituente del popolo sardo non sia quello della lotta interna al PD.
Simone Maulu