Berivan Firat è la portavoce del Consiglio Democratico Curdo in Francia. Ha preso parte alle ultime Ghjurnate Internaziunale indipendentiste di Corte in Corsica e in quell’occasione ci ha rilasciato un’intervista sulla realtà della lotta di liberazione che è diventata la sua ragione di vita.
Il Consiglio Demcoratico Kurdo in Francia (CDK-F) è una struttura che raggruppa e federa 26 associazioni della diaspora kurda in territorio francese, organizzata secondo la democrazia partecipativa. La missione dell’associazione è quella di aiutare la coesione dei membri della comunità kurda, salvaguardare e migliorare la conoscenza della Lingua, l’identità, i valori, i diritti sociali, culturali, economici e politici, nel rispetto delle altre comunità e dei valori universali. È la principale organizzazione kurda in Francia e porta avanti azioni per il riconoscimento dei legittimi diritti del popolo kurdo e per denunciare le violazioni di cui è vittima.
Intervista a cura di Bettina Pitzurra, Alessandra Cambiganu e Julie Mattana. Foto di Vittorio Cuccheddu.
La prima domanda che ti facciamo riguarda le condizioni di salute di Abdullah Ocalan, fondatore del partito dei lavoratori PKK e ideatore della “democrazia senza Stato” praticata in diverse parti del Kurdistan. È stato arrestato nel 1999 e trasferito nell’isola-prigione di Imrali nel 2002; sappiamo che non può vedere i suoi avvocati e da troppo tempo non si hanno sue notizie: ci sono aggiornamenti?
È da 24 mesi che non abbiamo sue notizie. Né gli avvocati né la sua famiglia sono riusciti ad incontrarlo e qualche tempo fa il CPT – Comitato per la Prevenzione della Tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti del Consiglio d’Europa – avrebbe voluto incontrare Ocalan nell’isola-prigione di Imrali. Secondo la versione ufficiale sarebbe stato lui a rifiutare.
Per noi quanto accaduto è strano. Abbiamo paura per la sua vita e non sappiamo se sia vivo o morto. Nessun incontro con i suoi avvocati, nessun incontro con la sua famiglia. Avrebbe rifiutato di incontrare la delegazione del CPT, questo è quantomeno bizzarro. In questo momento sono in corso indagini per avere sue notizie, perché ha più di 75 anni e l’isolamento in carcere è un crimine contro l’umanità.
Un avvocato specializzato in diritti umani mi ha confermato che quindici giorni di isolamento possono portare alla pazzia. Ocalan è da 24 anni che vive tra prigione e isolamento. Questo è un atto di barbarie commesso davanti agli occhi del mondo ma tutti stanno zitti perché hanno interessi con la Turchia la quale mantiene, in cambio di denaro, migliaia, milioni di rifugiati che fuggono dalla guerra, dalla miseria e dai cambiamenti climatici. In questo modo Erdogan li utilizza come ricatto nei confronti dell’Occidente, dell’Europa e degli Stati Uniti. Tutto questo fa comodo a Erdogan e spiega le condizioni di Ocalan.
Basterebbe applicare i diritti dell’uomo e ricorrere alla Corte Europea dei Diritti Umani e al CPT affinché ognuno si assuma le proprie responsabilità. Dovrebbero essere messi in pratica i trattati internazionali già firmati. Non chiediamo di più, non chiediamo di fare la guerra alla Turchia, chiediamo solamente che le convenzioni internazionali già firmate – anche dalla stessa Turchia – siano rispettate. Per tutelare Ocalan e il resto dei prigionieri politici kurdi.
Ocalan è in isolamento carcerario. Ma ci sono anche decine di migliaia di prigionieri politici, molti imprigionati dagli anni ’90, che da circa 35 anni sono scarcerabili. Si ritarda il loro rilascio grazie all’emissione di sanzioni disciplinari. Sono trattenuti per mesi aggiuntivi in maniera del tutto arbitraria. C’è una vera violazione dei diritti umani. L’Europa e l’Occidente, che danno lezioni di democrazia e di diritto a tutti, guardano a destra, non verso la giustizia. Questa è la situazione di Ocalan e dei prigionieri politici.
Che tipo di difficoltà incontra chi vuole vedere Ocalan?
Ocalan si trova su un’isola. Si presenta sempre qualche problema o si inventano scuse come navi in panne, presenza di nebbia o di troppa pioggia. Una volta raggiunta l’isola è consentito restare un’ora, al massimo un’ora e mezza. È una prigionia perpetua, è totalmente isolato.
Ci sono anche altri tre prigionieri politici sull’isola, trasferiti quattro anni fa, ma l’accesso è impossibile per chiunque.
Abbiamo avuto modo di leggere i testi che Ocalan ha scritto in carcere, come “La rivoluzione delle donne” ed “Il confederalismo democratico”. Testi e idee che sono praticate e parte integrante del dibattito nelle vostre università e nelle reti di solidarietà internazionale. Ci piace pensare che Ocalan stia continuando a scrivere…
Lui scrive ma non potendo rendergli visita e non riuscendo a rintracciarlo da oltre ventiquattro mesi non riusciamo a sapere cosa scrive e non abbiamo alcuna novità. Ci sono molte iniziative in Germania, Francia e Olanda per avere sue notizie.
Il popolo kurdo ha il diritto di sapere ciò che accade a un prigioniero politico così emblematico, colui il quale ha ideato un progetto politico di libertà per il popolo kurdo ma anche per i popoli del Medio Oriente o addirittura per tutti gli altri popoli. Ocalan incarna un’alternativa allo Stato-Nazione che ci incatena tutti.
Noi abbiamo il diritto – come anche voi, come i difensori dei diritti umani, come anche i còrsi, i catalani e i baschi – di sapere ciò che succede ad Ocalan.
La famiglia di Ocalan come vive questa lunga detenzione?
È difficile per la sua famiglia. Ma Ocalan ha una famiglia di cinquanta milioni di curdi e di centinaia di milioni di persone nel mondo. Tutti sono preoccupati, come lo sono io o qualsiasi altro kurdo. Ocalan è un valore universale che supera la sola preoccupazione della sua famiglia o dei soli kurdi.
Come è maturata la decisione delle donne curde di schierarsi in prima linea?
L’essere umano non è sufficientemente intelligente da poter risolvere i problemi in modo pacifico. Purtroppo siamo obbligate a trovare la maniera di difenderci dalle ingiustizie: in quanto femmine ci difendiamo dalla società patriarcale, sessista e feudale kurda e dobbiamo anche difenderci dai nostri compagni di lotta rivoluzionari. Mi spiego: per esempio molte di noi donne hanno un padre, un fratello o un marito che mette bocca sul nostro modo di agire, di vestire; Ci dicono di non fare qualcosa perché è troppo duro per una donna, perché potrebbe essere difficile per noi, perché non ce la faremo, etc.
Da tutto questo nasce il bisogno delle donne curde di creare strumenti di autodifesa, come un’organizzazione politica fondata da donne per sviluppare una nuova ideologia, una nuova filosofia su come difenderci da questa società descritta come moderna ma in realtà ancora patriarcale, dominata dal pensiero e dal potere maschile. Il patriarcato non è sostenuto soltanto dagli uomini ma anche dalle stesse donne che sono permeate di questo potere dominatore e dalla continuità storica della repressione patriarcale.
Ocalan in uno dei suoi scritti riguardo il popolo rivoluzionario kurdo dice “uccidi l’uomo che è in te”. Quando scrisse queste parole rimanemmo tutti un po’ scioccati. Cosa significano? Soprattutto gli uomini, nostri compagni, che da parte loro facevano sforzi per allargare la loro visione ed essere più progressisti, meno sessisti, non patriarcali, chiedevano cosa vuol dire uccidi l’uomo che è in te? Ocalan spiegò che bisogna uccidere la mentalità dominante che è in te: “finché non arriverai a demolire la mentalità dominante e finché non svilupperemo una mentalità cosciente, sviluppata, sull’ascolto e la condivisione, la società non potrà evolversi”.
Una società che non libera le proprie donne dalle loro catene visibili ed invisibili, non può evolvere. Quindi, per poter liberare le donne, liberare i loro spiriti e dare loro lo spazio che meritano sui libri, bisogna prima di tutto attuare una rivoluzione delle donne, prima di fare la rivoluzione per la società. Per questo Ocalan per noi, donne curde, è così importante.
Per esempio il 25 Novembre, durante la Giornata Internazionale del Lutto contro la Violenza sulle Donne, io marcio con la bandiera di Ocalan. E ci sono molte donne che non capiscono perché io porti la bandiera di un uomo così severo, con quei grossi baffi. Io spiego che se non avessi scoperto Ocalan e le sue idee, come milioni di altre giovani donne kurde mi sarei sposata ad un’età infantile e avrei osservato la società da una finestra.
Oggi, grazie al progetto politico che Ocalan ci ha regalato e grazie a tutti i testi filosofici e politici che ha scritto, non solo sono riuscita a spezzare le mie catene visibili ed invisibili, ma aiuto anche le altre donne e gli uomini a liberarsi. E liberandoci aiutiamo la società inquinata dalla mentalità capitalista, imperialista, sessista, patriarcale e feudale. Ocalan ci ha consentito una rivoluzione interiore, una rivoluzione che ci ha permesso di avanzare come società. Ecco perché è così importante per noi questa personalità. Non si tratta di glorificare l’individuo, è la sua filosofia gineologica insita nel suo progetto politico ad essere molto importante.
Qual è stata la causa scatenante che ti ha fatto dire “devo fare qualcosa”. In quale momento hai preso coscienza dell’importanza di prendere una posizione rispetto alla libertà del tuo popolo?
Ero molto giovane, piccola direi, alle scuole elementari. Era un’epoca nella quale c’era una violenza estrema in Kurdistan. C’erano molti rifugiati politici che arrivavano in Francia, non era come adesso. Ora ci sono molti kurdi che parlano Francese, Italiano, Inglese… all’epoca era diverso. C’erano giovani usciti dalle prigioni o militanti che in Kurdistan parlavano a decine di migliaia di persone e da un giorno all’altro si ritrovavano a dover fuggire. Queste donne e questi uomini rivoluzionari sono arrivati in Europa. Erano giovani forti che tenevano testa al sistema, erano capaci di far marciare decine di migliaia di persone e ora si ritrovavano in pochi giorni come dei sordomuti: non potevano più esprimersi, comprare del pane o curarsi a causa della barriera linguistica.
Quindi da bambina sollecitarono mio padre per fare in modo che già da piccola potessi aiutarli in quanto parlavo Francese e Kurdo. Avevano bisogno di aiuto, c’erano delle donne che non stavano bene, si trattava di militanti che io stessa portai dagli psicologi o dalle ginecologhe. Portai degli uomini dal dottore e ricordo che uno dei dottori un giorno lasciò il paziente che stava visitando, chiuse la porta dell’ambulatorio e piangendo mi disse: “Tu sei troppo piccola, tu non dovresti vedere e ascoltare queste cose, sei una bambina”. E io cominciai a piangere, non riuscii a dir nulla.
Aveva ragione, era dura, quando la sera rientravo a casa facevo gli incubi ma allo stesso tempo avevo capito che loro erano ancor più sconvolti. Facevo traduzioni anche per i miei genitori, sentivo che si trattava della mia missione. Avevo nove anni. Dopo qualche anno, un giorno dissi a mia madre “mamma, sai una cosa? Ho capito cosa voglio essere. Voglio essere la voce di quelle persone che sono state condannate al silenzio”. E da quel momento non ho mai smesso, ho fatto attività culturali e teatrali, ho difeso le nostre tradizioni popolari e ho fatto traduzioni.
Dove ti trovavi?
Ero in Francia, in Alsazia-Lorena. E non ho ancora smesso di lavorare per la causa kurda, sono la voce del mio popolo.
Hai ancora parenti in Kurdistan?
No, i miei parenti erano in Francia ma sono morti.
Quali evoluzioni politiche vedi nel tuo paese e a quali costi?
Il territorio kurdo è diviso in quattro Stati ed è per questo che noi vediamo una possibile soluzione nel progetto di Ocalan del confederalismo democratico, un’alternativa allo Stato-nazione. Il confederalismo democratico già vigente in Rojava, potrà essere una valida soluzione nel Kurdistan del Sud (Iraq del Nord), in Iran e in Turchia. Ed io, come milioni di altri kurdi, so che ce la faremo.
Abbiamo perso decine di migliaia dei nostri, non possiamo fare marcia indietro. Tutte le nostre famiglie hanno perso un caro in questa lotta. Come può una famiglia, una madre, un padre, una sorella, una zia o uno zio rassegnarsi a vedere un loro caro portato via in fin di vita! Io, in quanto madre, sono mezza menomata: ho perso un figlio, metà del mio corpo. Mio figlio è stato ferito durante un combattimento contro Daesh, lo hanno trasportato nel Nord dell’Iraq per curarlo e l’aviazione turca ha bombardato. Quindi pensi che io possa fare marcia indietro? Non posso!
Abbandonare questo progetto, questa bandiera, questo stendardo lasciato da mio figlio, questo figlio che pochi mesi prima di morire mi chiamò e disse: “sono sempre stato fiero di te… tu lo sei di me in quanto soldato?”. Gli risposi chiedendo se si fosse pentito della scelta di partire. Lui rispose: “ho solo vent’anni ma sono estremamente orgoglioso della mia scelta”. Gli risposi che se era convinto della sua decisione, ero estremamente fiera di lui”.
Un figlio del quale sono estremamente fiera, che amo, che mi ha menomata, perché è contro natura perdere un figlio. Non mollerò! E ci sono milioni di kurdi come me, quindi i nostri nemici hanno perso e noi abbiamo già vinto.
Quanto è necessaria la visione delle donne nel declinare una nuova umanità nel mondo?
È estremamente importante, ed è per questo che abbiamo sviluppato e continuiamo a sviluppare la filosofia della gineologia. Cioè la scienza della donna. L’abbiamo inaugurata reinterpretando la storia, la storia dell’umanità, restituendo alla donna il suo posto. Per farti un esempio: tutti conoscono la rivoluzione bolscevica del 1917 ma nessuno parla delle tre donne che hanno commesso l’attentato contro lo Zar, causa scatenate di questa rivoluzione; non se ne parla, eppure ci è stato raccontato che si è trattato di una rivoluzione progressista, marxista, leninista… ma il nome delle donne non esiste.
Se il nome della donna è assente, non ci può essere nessuna rivoluzione! Non esiste una rivoluzione senza la partecipazione attiva della donna e se vogliamo che questa partecipi attivamente ai cambiamenti sociali e della mentalità, occorre una rivoluzione che inizia dalla testa. E ciò è possibile solo con la donna. È necessaria la sua partecipazione in maniera molto attiva. È la donna che comincia a formare la società, allevando i propri figli, poi c’è la scuola che entra in gioco. Ma fino ai tre, quattro anni è la donna che li cura. Quindi se non diamo spazio alle donne, nessuna rivoluzione, nessun cambiamento, nessun dibattito può portare a qualcosa di buono.
Portiamo il mondo nel nostro grembo, l’avvenire del mondo è nel nostro grembo. Ma il mondo è incapace di portare noi donne in grembo, quindi spetta a noi essere abbastanza forti per poter trovare il nostro posto in questo mondo nel quale le donne sono messe spalle al muro e le si impedisce di andare avanti, di prendere un posto nella storia, di allevare i propri figli e renderli utili alla società. Qualche decennio fa, quando si facevano più figli, c’erano malattie e la guerra. La donna faceva cinque o sei figli. Due o tre erano per lei, il resto dei figli si dedicavano alla patria. La nostra patria è il mondo e i nostri figli servono a migliorare il mondo, renderlo più giusto, equo, onesto, onorevole.
Gràtzias Berivan, e fortza manna!
La mia forza è la tua forza!