Catalogna, la partita non è finita. La reazione psicologica

Pubblichiamo la traduzione libera di due editoriali di Vicent Partal, direttore di Vilaweb, quotidiano online catalano, del 12 e 13 maggio 2024. Questi testi ci aiutano nella comprensione del risultato elettorale, delle possibili vie d’uscita e della prospettiva politica delle forze indipendentiste. A questo link sono disponibili le dichiarazioni post elettorali di Oriol Junqueras, presidente di Esquerra, di Pere Aragonès, presidente uscente della Generalitat e di Carles Puigdemont, presidente catalano in esilio.

La partita non è finita: elezioni a ottobre con un indipendentismo molto rinnovato

La guerra interna per l’egemonia, che ha fatto tanto male all’indipendentismo, è superata. Puigdemont può guidare la riorganizzazione in vista di ottobre. Gli servirà molta generosità ma anche molta ambizione.

I cittadini che votano, e sopratutto quelli che non votano, hanno deciso che il vincitore delle elezioni sia, chiaramente, Salvador Illa, candidato presidente del Partito dei Socialisti Catalani, filiale catalana del PSOE.
Il brutto risultato di ieri, in generale, si spiega sopratutto con l’astensione indipendentista. Ed è sul conservare la fiducia di questi elettori disillusi che si sarebbero dovuti concentrare gli sforzi. E su questo devono concentrarsi sin da ora.

Nel 2017 Esquerra, Junts e CUP hanno raccolto 2.078.000 voti. Oggi ne hanno ottenuti 1.200.00. Questo dice tutto.

Tre anni fa qualcuno ha tentato di dissimulare questa crisi di fiducia con l’argomento, sicuramente ragionevole, della pandemia. Ma in realtà era il sintomo di una malattia molto più grave: la mancanza di credibilità della classe politica indipendentista. Dopo la notte elettorale non ci sono più scuse per Esquerra e CUP che hanno registrato due crolli molto significativi e sono state sconfessate dai loro stessi elettori.

In questo senso a livello nazionale è molto importante, molto più di quanto sembra, sottolineare il modo in cui Junts – ma in sostanza direttamente il presidente Puigdemont – ha superato chiaramente Esquerra, dopo nove anni di “lotta per l’egemonia”.

Ma anche Junts ha delle colpe in quel che è successo fino ad oggi, in particolare per aver legittimato il PSC con accordi amministrativi territoriali nella Provincia di Barcellona. Ma il risultato parla da solo: non solo non ha perso eletti in una tornata in cui tutto l’indipendentismo ne ha persi, ma ne ha guadagnati di nuovi. Carles Puigdemont, di fatto, ha ottenuto di migliorare i suoi risultati in termini di candidati eletti rispetto al 2017, momento in cui l’epica elettorale era al suo vertice massimo. Questo è alla portata di pochissimi politici al mondo.

Non so cosa succederà d’ora in poi. La reazione di ERC è imprevedibile e sicuramente saranno necessarie delle settimane per riflettere. Ma a Puigdemont ora viene più facile tentare di unire l’indipendentismo in una formazione che non sia una rifondazione di CiU ma piuttosto una specie di SNP scozzese, più trasversale e aperto di quanto lo sia oggi. Oppure promuovere una coalizione come Junts pel Sì. Tre anni fa Puigdemont aveva 32 deputati e gli altri partiti 42. Oggi ne ha 35 e gli altri due 24. E lo scarto rispetto al PSC, anche se importante, non è insuperabile se pensiamo a nuove elezioni.

Puigdemont saprà fare questo? Lo vorrà fare? Avrà la generosità necessaria per farlo? E gli altri lo lasceranno fare o continueranno a dare priorità a mettergli i bastoni tra le ruote? E, sopratutto, Junts si rapporterà con il PSOE a Madrid in modo coerente, ora che si è liberato dalla lotta per l’egemonia in Catalogna?

Perché molto probabilmente la soluzione più logica a queste elezioni sarà quella di tornare al voto in ottobre. Il tripartito PSC, ERC e Comuns (Podemos, Sumar e altri) ha la maggioranza assoluta. Ma ERC si azzarderà, dopo la sconfitta elettorale, a votare il candidato del PSC? Non sembra molto sensato. Intanto il presidente Aragonès ha detto chiaramente che non farà parte di alcun governo.

Illa può essere eletto presidente solamente con una strana coalizione che deve includere il PP con l’astensione di Vox. Sembra troppo. E se Illa non può diventare presidente non c’è altra soluzione possibile rispetto a nuove elezioni in ottobre. Il PSC, se Illa e Puigdemont avessero avuto una differenza minima di voti, avrebbe potuto optare per l’astensione in favore di Puigdemont per salvaguardare la stabilità di Pedro Sanchez a Madrid. Ma non sembra possibile, nonostante la bomba che Puigdemont ha lanciato la notte stessa delle elezioni chiedendo a Esquerra di confrontarsi per la formazione di un governo.

È qui, nell’impossibilità per Illa di formare un governo, che risiede l’opportunità dell’indipendentismo, e concretamente di Carles Puigdemont il quale ha realizzato una campagna elettorale in posizione di inferiorità scandalosa. Senza poter partecipare ai dibattiti elettorali. Ma da qui a ottobre, con il suo ritorno in Catalogna dall’esilio, ha tempo e avrà opportunità di scuotere il panorama politico ed elettorale catalano. Mentre l’elettore e l’astensionista indipendentista avrà molto tempo per pensare e riflettere. È per questo che questa partita è tutt’altro che finita.

L’ora di fare politica: non è inevitabile che governi il PSC

Noi catalani siamo uguali agli spagnoli o no? Se lo siamo possiamo fare la stessa cosa che ha fatto Sanchez quando ha formato un governo dopo aver perso le elezioni spagnole. O questa opportunità è riservata solo ai “superiori”, impropria per gli “inferiori”?

Portrait du colonisé, précédé du portrait du colonisateur è un libro molto interessante di Albert Memmi, un autore che ha esplorato la relazione – a suo parere inscindibile – tra il colonizzatore e il colonizzato. Per Memmi – ebreo tunisino educato nell’Algeria rivoluzionaria, professore in Francia e uomo legato alla causa indipendentista del Quebec – il colonizzatore esiste solo se il colonizzato assume la sua condizione di essere inferiore “che necessità di guida e civilizzazione”.

La liberazione quindi, secondo Memmi, necessità anzitutto di una reazione psicologica: bisogna capire che siamo uguali e che, quindi, possiamo fare le stesse cose, tutte, che fanno gli altri.

Oggi ne abbiamo la prova del nove. Salvador Illa ha vinto le elezioni ma non ha possibilità di essere eletto presidente. La sua unica possibilità reale è un patto PSOE-PP-Comuns (Podemos e altri) che dovrebbe inoltre contare sull’astensione attiva di Vox. Non sembra facile che si verifichi tutto ciò. Ma al contempo è già partito il meccanismo mediatico e politico per dare per fatta la sua vittoria e la fine dell’indipendentismo. Come se questa fosse l’unica cosa che può succedere, inevitabilmente.

Carles Puigdemont ha contrattaccato. Ha annunciato che presenterà la sua candidatura alla presidenza della Generalitat. Non è scontato e non sarà facile. La sua opzione è un accordo con Esquerra e CUP. Ma ha necessità dell’astensione di un terzo partito, in questo caso il PSC. Ora, questo è importante, Puigdemont propone un accordo chiaramente più coerente di quello che propone Illa, un accordo che non necessità di frankenstein parlamentari né di accordi impossibili che smettono di funzionare il giorno dopo.

Le due opzioni sono molto complesse ed è possibile che i due fallimenti aprano la porta a nuove elezioni in ottobre. Ma, seguendo Memmi, ora è fondamentale che l’indipendentismo reagisca psicologicamente. Che si scrolli di dosso la sottomissione intellettuale.

Siamo uguali non non siamo uguali? Se lo siamo possiamo fare la stessa cosa che ha fatto Sanchez quando ha formato un governo dopo aver perso le elezioni spagnole. O questa opportunità è riservata solo ai “superiori“, impropria per gli “inferiori“?

Nelle ultime elezioni spagnole il candidato del PP Feijòo ha ottenuto 136 eletti e quello del PSOE Sanchez 122 (quattordici in meno). E nonostante questo Sanchez è stato capace, in modo legittimo, di creare una situazione che gli ha consentito di esser presidente, impendendo di farlo a Feijoo.

Oggi in Catalogna il PSE ha ottenuto 42 eletti mentre Junts 35 (sette in meno). E la domanda è per quale motivo Puigdemont non debba disporre del diritto a “fare politica” e provare a vincere la presidenza utilizzando senza pietà tutti gli strumenti che ha in mano. Esattamente come Sanchez ha utilizzato tutto il suo arsenale per essere confermato alla Moncloa.

Non ci sono scuse possibili né argomenti per impedire all’indipendentismo di fare politica. Sempre che noi indipendentisti non assumiamo volontariamente e docilmente il ruolo di colonizzati. Di deboli. Di indegni di partecipare alla politica.

Dichiarazioni post elettorali di Junqueras, Aragonès e Puigdemont

ARTÌCULU ORIGINALEVilaweb
Artìculu prus bètzuCatalogna, parlano Puigdemont, Junqueras e Aragonès
Ateru artìculuEnergia. Gli accordi di Pirro tra Regione e Stato