Cos’è la malattia della lingua blu? Dati, impatto su animali e aziende. Le soluzioni

Da decenni sentiamo parlare di Lingua Blu e di cicliche crisi di contagi nelle aziende del territorio sardo, anche in questo periodo al centro delle cronache. Ma in cosa consiste realmente il virus? Con questo articolo, pubblicato da Sardegna Che Cambia e scritto da Alberto Di Felice in collaborazione con Franciscu Pala di Helis, cerchiamo di capire quali sono gli effetti concreti sugli animali, quali e quanti sono i danni per le aziende nell’immediato e negli anni successivi al contagio, e possibili soluzioni.

La Lingua Blu – o Blue Tongue, dall’inglese – è una malattia infettiva che colpisce i ruminanti domestici e selvatici come caprini, bovini, cervidi e soprattutto ovini. Si tratta di una febbre catarrale – non contagiosa per l’uomo – che come la malaria si trasmette attraverso i Culicoidi, moscerini vettori del Bluetongue virus. Si manifesta con febbri altissime, affezioni alle vie respiratorie e, nei casi più gravi, con rigonfiamento e cianosi della mucosa linguale. L’alterazione della temperatura corporea modifica anche il metabolismo degli animali, e porta a gravi scompensi e perdite di peso.

L’approccio al contrasto alla malattia ha fino ad oggi previsto massicce campagne di vaccinazione sostanzialmente incapaci di lottare contro tutti i ceppi virali. Di fatto la Blue Tongue continua a colpire i capi attraverso i ceppi scoperti. Inoltre se si tiene in conto la coincidenza dell’infezione con la fase gestazionale delle pecore non è difficile, anche per i non addetti ai lavori, immaginare le ripercussioni negative in termini di salute generale delle pesanti vaccinazioni su animali che si stanno preparando al parto.

lingua blu helis sardegna che cambia
La lingua blu colpisce ruminanti come pecore, capre, bovini e cervidi
LINGUA BLU: LE CONTROMISURE E I DATI

Appurato che questo tipo di provvedimenti non risolve alla radice il problema, l’imperativo primario è teoricamente quello di combattere l’insetto vettore che prolifica, come le zanzare, in ambienti umidi e nelle pozze d’acqua. Ma questa battaglia risulta sempre più difficile in una situazione di estremo cambiamento climatico che sta tropicalizzando le nostre latitudini. La complessità della questione richiede una capillare campagna di prevenzione e di formazione pratica per gli allevatori, ma anche una approfondita comprensione dei danni fisici subiti dagli animali e dei conseguenti danni economici per le aziende.

Per esigenze didattiche possiamo paragonare un animale da latte a un atleta: in termini di fabbisogni e come prerogativa deve avere ottimo stato di benessere e di salute fisica. D’altronde, non si è mai visto un centometrista prestante affetto da malaria. Immaginiamo il caso ipotetico di una piccola azienda di 100 capi ovini. L’arrivo dell’infezione colpisce in linea di massima il 90% dei capi. Generalmente gli animali che riescono a partorire in tempo sono circa il 60% del totale. Il restante 40% partorisce a scaglioni durante l’anno e questo fatto già di per sé rappresenta una difficoltà in più per l’azienda. In ogni caso la Lingua Blu comporta un 50% di aborti.

Quindi su 60 animali ben 30 non portano a termine la gestazione. Mentre gli altri 30 capi vengono debilitati in modo quasi irreversibile e partoriscono cuccioli rachitici e con problemi di salute. I danni sugli animali e sulla sostenibilità economica aziendale sono enormi in quanto non sussistono le condizioni per iniziare una nuova stagione di lattazione, cioè di produzione di latte.

Sugli animali più anziani la Lingua Blu è una mannaia devastante

I DANNI ALLE AZIENDE

Il tessuto economico del territorio sardo è fatto di centinaia di aziende medio-piccole a conduzione familiare. In un’azienda media sarda la marginalità di profitto è inferiore al 20%. Lavorare con il gregge dimezzato dalla malattia significa lavorare gratis. Inoltre gli animali che non possono affrontare la produzione di latte diventano un costo vivo. Un gregge di 100 animali produce circa 23mila litri di latte all’anno per un valore di circa 34.500 euro. Il costo per allevare 100 capi con 20 ettari di terra è di circa 23mila euro. Il netto è quindi di circa 15mila euro.

Un’azienda colpita dalla Lingua Blu che produce al 50% delle sue possibilità ha costi lievemente ridotti ma comunque attorno ai 17mila euro. E può contare solo sulla metà dei ricavi. Ma non finisce qui: il danno più importante che la Lingua Blu arreca è l’abbattimento del conto capitale zootecnico, cioè del numero dei capi. Perché paradossalmente, a differenza di quanto si è pensato fino ad oggi, gli animali morti non sono il danno economico maggiore: il vero danno è il mancato reddito che non colpisce solo nell’anno del contagio, ma si protrae. Un animale invalidato ha infatti bisogno di almeno due anni per tornare produttivo e comunque non tornerà mai al benessere e alla produttività di un tempo.

Quindi il calcolo del danno subìto va spalmato nel tempo. Il costo per allevare un animale dal giorno della nascita fino all’entrata in produzione di latte è uguale al ricavo netto dopo il primo anno di produzione. In sostanza per i primi due anni l’allevatore non guadagna niente. Quindi se la malattia impedisce la nascita di una nuova generazione di animali, l’azienda deve aspettare quattro anni prima di riuscire a tornare al numero originario di capi produttivi.

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Uno degli aspetti più importanti della zootecnia moderna è inoltre la longevità degli animali. Sugli animali più anziani la Lingua Blu è una mannaia devastante che costringe le aziende a sostituirli con qualche anno di anticipo. Anche questo è un danno perché se il costo di allevamento viene ripartito in meno anni di vita e di produzione, sarà in proporzione più alto.

Anche in questo campo è prezioso un cambio di prospettiva radicale: la zootecnia moderna negli ultimi quarant’anni è passata dalla concentrazione sulla produzione frenetica giornaliera alla considerazione di una produzione più omogenea annuale. Oggi finalmente si ragiona in termini vitalizi. In termini di sostenibilità ambientale, di salute animale e di profitto aziendale è preferibile una pecora che produce 2mila litri latte in dieci anni rispetto ad una pecora che ne produce mille in tre anni: l’animale è meno stressato e meno sollecitato perché la sua produzione di latte vitalizia è inferiore. E il costo per allevarlo si spalma in più anni.

POSSIBILI SOLUZIONI ALLA DIFFUSIONE DEL VIRUS LINGUA BLU

Dare consigli gestionali agli allevatori non è mai semplice, ma sicuramente un puntale intervento con disinfestazioni e con l’eliminazione di pozze acqua potrebbe aiutare. Come anche sarebbe auspicabile la sostituzione dei grandi abbeveratoi, che comportano un ingente ristagno d’acqua, con piccole beverine che erogano solo l’acqua che viene richiesta dall’animale. Sono tutti accorgimenti che possono contrastare il vettore del virus ma è fondamentale che gli enti preposti prendano in mano la situazione e inquadrino bene qual è il reale danno per le aziende.

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Il miglioramento della gestione delle cause dello sviluppo dei vettori, deve andare quindi di pari passo a un investimento in studi più approfonditi e a un’assistenza in termini veterinari puntuale e adeguata. Perché molto spesso gli allevatori non sanno effettivamente cosa poter fare nei confronti di un virus. È doveroso e utile sostenere l’animale, curarne i sintomi con antipiretici e con farmaci di integrazione minerale e vitaminica, come si fa nell’uomo per l’influenza. La Blue Tongue è devastante ma, come abbiamo visto, non sembra indicato intervenire con antibiotici.

In termini di aiuti concreti poi, visti i danni e considerando gli impegni che hanno le aziende con gli istituti di credito, la sospensione e la moratoria dei mutui è doverosa e fondamentale perché le aziende evidentemente non possono onorare gli impegni. Le imprese legate all’allevamento e all’agricoltura sono di per sé soggette a variabili incalcolabili e imprevedibili come il clima, la siccità, le perturbazioni meteorologiche.

In caso di Lingua Blu, in assenza di aiuti che tengono conto di tutti i danni che abbiamo analizzato, gli allevatori sono costretti a rimanere fermi e ad aspettare che il momento di crisi passi, senza poter fare investimenti, acquistare materie prime, strumenti di lavoro o macchinari. E nel momento in cui con il fallimento delle aziende venisse a mancare la base del settore agropastorale, si bloccherebbe anche tutto l’indotto, tutte le attività economiche che girano intorno al sistema della campagna andrebbero in crisi.

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