La manifestazione indipendentista che l’11 settembre di 11 anni fa riempiva le strade e le piazze di Barcellona si concludeva con un appello internazionale per il sostegno al diritto a decidere del popolo catalano, declamato in varie Lingue, che si concludeva con un lungo elenco di argomentazioni storiche, culturali e politiche sulla legittimità del voto referendario. Un elenco che veniva sciorinato anticipando ogni frase con un martellante e ripetitivo Escolta Espanya, ascolta Spagna… Quel che avvenne dopo lo sappiamo. Forse è arrivato il momento in cui la Spagna dovrà veramente ascoltare la Catalogna. E chi vuol essere riconfermato primo ministro di Spagna dovrà necessariamente ascoltare il presidente catalano in esilio.
CHI VA AL GOVERNO?
Anche se non sembra, Pedro Sánchez ha ottenuto un ottimo risultato. La sua manovra di anticipare le elezioni è risultata efficace. L’assenza di accordi preventivi tra i socialisti e le forze indipendentiste ha portato ad un aumento dei voti socialisti e ha liberato il voto indipendentista da possibili influenze negative. Dal canto loro il Partito Popolare e Vox hanno puntato tutto sul plebiscito su Sánchez il quale ha resistito e, in termini assoluti, ha raccolto più preferenze e più deputati della scorsa tornata elettorale.
Sánchez ha i voti e la legittimità per continuare ad essere il primo ministro spagnolo nonostante la stasi di Sumar, la coalizione a sinistra del PSOE di cui fa parte con molti mal di pancia anche Podemos, che è riuscito a mettere assieme vari partiti ma non a mobilitare sufficientemente la sinistra, ottenendo 31 eletti contro i 33 di Podemos nella passata legislatura.
Ma il premier socialista dovrà lavorare molto per riuscire nella riconferma. Il suo governo dipende esclusivamente dai patti che saprà tessere con le forze indipendentiste delle varie nazioni di cui è composto lo Stato. I 26 eletti delle forze indipendentiste e autonomiste di Catalogna, Paesi Baschi e Galizia saranno decisivi per eleggere il prossimo presidente del governo statale.
La destra proverà a costruire degli ostacoli ma questo è un gioco politico che non converrebbe a nessuno. Effettivamente il candidato più votato è Alberto Feijóo, già Presidente galiziano e plenipotenziario del PP nella nazione celtica, ma non ha i numeri per raggiungere la maggioranza assoluta, neanche nel caso in cui i centristi navarri di UPN e il partito Coalizione Canaria dovessero sostenerlo assieme a Vox la cui forte retrocessione non consente la formazione di un governo di destra: il partito di Abascal, sodale di Giorgia Meloni, passa da 52 a 33 eletti.
Sicuramente i risultati sono complicati: il PSOE non può non chiarire quali siano le alleanze possibili e le forze basche, catalane e galiziane, sempre più determinanti, devono saper essere esigenti e intelligenti.
Junts per Catalunya, la forza guidata dall’esilio da Carles Puigdemont, ha già detto chiaramente durante la campagna elettorale che non avrebbe appoggiato alcun governo di Madrid che non dovesse accettare la celebrazione di un referendum ufficiale e riconosciuto in Catalogna. Mentre ERC, dai cui voti dipendeva il Governo socialista nella precedente legislatura, va verso un ruolo di negoziato sempre più complicato, forse superato dagli eventi.
SENZA BASCHI E CATALANI SAREBBE GIÀ GOVERNO PP-VOX
Euskal Herria e Catalogna hanno confermato il loro peso fondamentale per impedire alle destre di vincere le elezioni spagnole. In un esercizio di fantapolitica, eliminando dai grafici i 71 deputati baschi e catalani, PP e Vox starebbero già governando con una forte maggioranza. Ce ne parla Ramon Sola, caporedattore di Naiz. Se i Paesi Baschi e la Catalogna fossero Paesi indipendenti queste elezioni sarebbero state un successo per i partiti della destra e dell’estrema destra spagnole. È successo domenica scorsa come già nel 2019. Si potrebbe ironicamente concludere che PP e Vox si stanno auto-sabotando opponendosi al diritto a decidere di baschi e catalani. D’altronde è noto che destre spagnole hanno una penetrazione minima nelle due nazioni. I Popolari, prima forza politica in 40 delle 52 province statali, hanno ottenuto solo 3 eletti in Euskal Herria e 6 in Catalogna. Vox ha eletto 2 parlamentari in Catalogna e nessuno nei Paesi Baschi. Nelle due nazioni senza Stato il blocco maggioritario spagnolo ottiene solo il 16%.
HEGO EUSKAL HERRIA, IL VILLAGGIO GALLICO
Nei Paesi Baschi del Sud, attualmente sotto giurisdizione spagnola, composti dalla Comunità Autonoma Basca e dalla Comunità Forale di Navarra, c’è ampia condivisione del concetto che la destra spagnola è un pericolo per i diritti e le libertà. Tanto dal punto di vista nazionale quanto da quello di sinistra. Le scelte di voto riflettono questa maggioranza progressista e favorevole alla sovranità. Questa maggioranza della società basca si è imposta in modo chiaro e le urne hanno sancito che, a differenza di quanto avviene a livello statale, nelle terre basche l’estrema destra è marginale.
Un sistema politico peculiare quello basco, una sorta di indomito e inconquistabile villaggio gallico – per dirla con Asterix – ad alto tasso di antifascismo. La prima forza politica statale, il PP, nei Paesi Baschi è la quarta e Vox, in sostanza, non esiste.
Socialisti
Spinti dalla dinamica statale di risposta all’onda reazionaria, il PSN Partito Socialista Navarro e il PSE Partito Socialista Basco hanno vinto con 7 deputati complessivi, passando dal 20,5% al 25,7%. Non è una novità che nei Paesi Baschi le elezioni per il Parlamento spagnolo vengano vinte dai socialisti. Ma questi sono risultati storici se pensiamo che nel 2011 i socialisti registravano un 21,6%, calavano al 13,7 con l’arrivo di Podemos e recuperavano con un 21,2% nel 2019.
Indipendentisti
La seconda forza dei Paesi Baschi è EH Bildu, la federazione della sinistra indipendentista, che conquista il suo sesto eletto, pareggiando con gli autonomisti del PNV nella Comunità Autonoma Basca (entrambi al 24%) e ottenendo un risultato spettacolare in Navarra con il 17,3%.
Gli indipendentisti festeggiano per la grande crescita in numero di voti, 22mila in più rispetto alle elezioni del 2019; in percentuale, con un +2% e in numero di eletti nelle istituzioni spagnole, +1. Con questi risultati possono sicuramente concorrere all’operazione politica di impedire al PP di andare al Governo.
Come scrive Iñaki Altuna, direttore di Naiz, un confronto dei risultati indipendentisti è possibile solamente a partire dal 2011 in poi per la semplice ragione che prima di quella data il sistema politico basco era caratterizzato dall’illegalizzazione della sinistra indipendentista. In quella tornata elettorale la coalizione Amaiur, l’attuale EH Bildu, ottenne risultati eccezionali, motivati in gran parte dal recente annuncio da parte di ETA del termine definitivo della sua attività armata. Con quasi 335mila voti, il 22,08% e sette deputati, fu la seconda forza più votata nei Paesi Baschi del Sud, sorpassata di soli 3mila voti dal PP alleato con i navarri dell’UPN.
Nel nuovo ciclo elettorale post illegalizzazione la sinistra indipendentista ha ottenuto una tendenza crescente di risultati passando per un periodo di stasi motivata da vari fattori tra i quali l’irruzione di Podemos nel 2015. Dal 2016 con il 12% dei voti EH Bildu è arrivato all’attuale 23%. La sinistra indipendentista si candida ad essere il pungolo basco verso una maggioranza statale progressista e verso l’avanzamento del diritto a decidere per le nazioni senza Stato.
Autonomisti
Gli autonomisti del PNV, Partito Nazionalista Basco, in caduta libera, sono la terza forza e perdono un deputato, ottenendone 5, con risultati onestamente deludenti: perdono 103mila voti, un deputato e passano dal 25 al 18.5%. Anche se il portavoce Andoni Ortuzar si è impegnato a negare la realtà il PNV non solo ha perso la battaglia interna con EH Bildu ma sembra aver perso il suo ruolo politico, stabile e potente, che ha caratterizzato gli autonomisti nello scorso ciclo politico.
L’irruzione di Podemos nel 2015 e il desiderio di democratizzazione dello Stato, tanto sentito nelle terre basche, ha influenzato persino il PNV, anche se i suoi esponenti hanno scelto di mantenere dritto il timone sulla rotta della stabilità e della moderazione, rifugio per il voto di quei baschi moderati, distanti dai partiti tradizionali di obbedienza spagnola. Questa stabilità autonomista si nota nell’andamento del numero degli eletti nel Parlamento spagnolo: dal 2001 a oggi sempre 5 o sei deputati.
Dopo lo spavento delle ultime elezioni municipali nella Comunità Autonoma Basca e in quelle della Comunità Forale Navarra nelle quali il PNV ha registrato una sconfitta molto seria, gli autonomisti galleggiano ma pagano una forte retrocessione in termini di voti e di percentuale, quasi 6 punti in meno.
Destra
Il Partito Popolare è la quarta forza dei Paesi Baschi, con tre deputati. Ottiene risultati scarsi fermandosi al 12,6%. Il partito centrista Unione del Popolo Navarro, ex alleato dei Popolari, resiste ottenendo un deputato nonostante i sondaggi lo dessero per spacciato dopo le vicissitudini che hanno portato alla rottura dell’alleanza locale tra la destra navarra e quella spagnola. In ogni caso rispetto alle precedenti elezioni non ci sono cambiamenti dello spettro dei votanti della destra popolare, a prescindere dagli apparentamenti locali e dai travasi di voti tra forze affini e complementari tanto sul territorio locale quanto a Madrid.
Sinistra spagnola
Sul lato opposto Sumar, la nuova coalizione di cui fa parte anche Podemos, ottiene un unico deputato senza riuscire a tirarsi fuori dal vicolo cieco in cui si è infilato. La coalizione della sinistra spagnola favorevole al diritto all’autodeterminazione ha registrato un’evoluzione inversa a quella della sinistra indipendentista basca. Nel 2015 è stata la forza più votata in Euskal Herria con il 29%, oggi si è posizionata al quinto posto con meno del 12%.
UNA NUOVA FASE POLITICA BASCA
Con questi risultati sia nei Paesi Baschi sia a livello statale si apre una nuova fase politica. Lo stato potrebbe andare incontro ad un blocco politico che nel peggiore dei casi porterebbe a nuove elezioni. Ma c’è un’agenda di governo da continuare ad applicare e occorre trovare strategie chiare se si vuole continuare a sconfiggere la minaccia dell’estrema destra al potere.
Nei Paesi Baschi si conferma che un ciclo politico è finito e che è il momento di un’offerta politica nuova. Questa verrà dal confronto democratico e dagli accordi politici. I leader baschi devono dare ascolto a un mandato che ogni volta è più chiaro. E stavolta è l’indipendentismo ad avere più eletti dell’autonomismo. Questi nuovi equilibri giocheranno un ruolo fondamentale anche in vista delle prossime elezioni per il rinnovo del parlamento della Comunità Autonoma Basca il cui lehendakari Iñigo Urkullu del PNV è sempre più in forse nella battaglia per la scelta del candidato autonomista.
OTEGI: EH BILDU MANTERRÀ LA PAROLA DATA
In un’intervista in Basco pubblicata su Gara il portavoce nazionale di EH Bildu Arnaldo Otegi afferma che “La nostra gente ha detto molto chiaramente che non vuole Vox e PP al governo dello Stato. Manterremo la parola data”. Otegi ha sottolineato i risultati ottenuti dalla federazione della sinistra indipendentista che ha ottenuto 55mila voti in più rispetto al 2019. Secondo lui i cittadini sentono che il voto a favore di EH Bildu è utile per migliorare la loro vita e per conquistare diritti nazionali e sociali. “I cittadini baschi hanno detto chiaramente che non vogliono un governo fascista dello Stato spagnolo. Siamo di fronte al fallimento del blocco reazionario, c’è ancora una finestra di opportunità aperta per costruire l’alternativa nello Stato. È vero – dice Otegi – che ci sono grandi difficoltà ma noi punteremo su tutte le possibilità e le opportunità”.
LA GALIZIA DEL CANDIDATO PP
Il Partito Popolare del candidato primo ministro, il galiziano Alberto Feijóo, in Galego Feixoo, stravince le elezioni in Galizia mentre Vox non ottiene alcun eletto.
Ana Pontón, portavoce della sinistra indipendentista del Blocco Nazionalista Galiziano, ha celebrato la crescita della sua forza politica che ha conquistato 30mila nuovi voti e il 9,48%. 1,35% in più rispetto alle scorse elezioni e 150mila voti. Il quotidiano di area indipendentista Nos Galiza riporta che gli indipendentisti galiziani sottolineano l’importanza del loro risultato ottenuto in elezioni molto polarizzate tra i candidati della destra e della sinistra spagnola e tendono la mano ai socialisti per negoziare un governo spagnolo alternativo alla destra, all’estrema destra, al maschilismo e alla xenofobia. Il BNG vuole giocare il suo ruolo per un governo spagnolo progressista e rispettoso dell’agenda politica e degli interessi galiziani.
In un articolo pubblicato su La Voz de Galicia, Ana Ponton scrive che in questa fase di investitura del nuovo primo ministro spagnolo ogni voto è utile e quindi gli eletti indipendentisti potranno giocare un ruolo fondamentale per imporre l’agenza galiziana per la difesa degli interessi del loro paese. A favore di un governo statale che blocchi la destra profondamente antigaliziana.
CATALOGNA. DALL’INDIPENDENTISMO MORBIDO A QUELLO FORTE
In un tagliente editoriale il direttore di Vilaweb Vicent Partal ricorda che negli anni settanta il politologo Joseph Samuel Nye, Presidente della Commissione Trilaterale e Assistente Segretario della Difesa per gli Affari di Sicurezza Internazionale degli Stati Uniti, ha descritto la differenza tra la politica soft e quella hard, tra la politica morbida e quella forte. Nye suggeriva che in determinati momenti sono più utili una politica e un potere morbidi perché comportano bassa tensione nelle relazioni e consentono di ottenere risultati in modo rilassato e comodo. Ma allo stesso tempo Nye avvertiva che nel momento in cui il potere morbido fallisce l’unica uscita possibile è il potere forte.
Secondo Partal Esquerra Republicana de Catalunya in questi ultimi anni ha tentato di usare la forza dell’indipendentismo mitigandola con il dialogo e la trattativa. Il risultato di questa scelta è stato un “fallimento inappellabile”. I cittadini catalani hanno concesso con le scorse elezioni al partito di Junqueras quindici deputati affinché tentassero quel progetto che loro promettevano fosse possibile portare a compimento: il tavolo di negoziato con lo Stato e gli accordi con il PSOE. Il risultato è stato un’enorme retrocessione, impossibile da nascondere. Ed Esquerra ha pagato caro questa strategia. A poche ore dalle elezioni Esquerra ha annunciato di entrare a far parte del governo della Provincia di Barcellona, a guida socialista. Per El Nacional secondo Oriol Junqueras gli elettori catalani hanno scelto di sostenere la sinistra spagnola per tentare di arginare il PP e Vox. Per Rufián, portavoce al Congresso spagnolo, “si è trattato delle elezioni spagnole più spagnole di sempre e il bipartitismo ha ottenuto ottimi risultati”. Più di 400mila elettori hanno tolto la fiducia ad Esquerra. E gli hanno fatto perdere sei eletti. Ma sopratutto, sostiene Vilaweb, i deputati di ERC saranno completamente insignificanti per Madrid perché, risultati alla mano, il voto decisivo passa per Junts. In questo momento la somma di PSOE, Sumar, Esquerra, EH Bildu, PNV e BNG dà come risultato 172 eletti, 4 in meno della maggioranza assoluta. E Junts ha 7 eletti. Se Sánchez vuole essere rieletto primo ministro può percorrere una sola via: dialogare con il presidente Puigdemont. Ed Esquerra non ha alcuna carta da giocare nel negoziato perché Sánchez con i suoi voti ha già governato e ora ha bisogno di quelli di Junts che ha il coltello dalla parte del manico nella trattativa per l’investitura del nuovo primo ministro spagnolo. Il partito di Puigdemont dovrà dimostrare tutta la sua capacità e la sua coerenza, senza farsi condizionare da quel che diranno e faranno gli altri indipendentisti, pensando all’indipendenza e non a chi governerà a Madrid.
La palla ora passa a Junts il cui calo elettorale non può essere paragonato con quello di Esquerra perché ha perso solamente un eletto e 140mila voti e ha fatto registrare una serie di recenti passaggi positivi come l’uscita dal Governo catalano di Pere Aragonès e la vittoria alle comunali di Barcellona scippata da un patto tra PSC, il Partito Socialista Catalano, e PP. Ma ora è il momento della verità, quello più difficile di tutti. La portavoce di Junts Míriam Nogueras ha confermato che il suo partito non voterà per eleggere Sánchez in cambio di nulla. È un buon inizio, per Vicent Partal, ma Junts dovrà essere capace di reggere tutte le pressioni ricordando che nessuno capirebbe la scelta di votare a favore dell’investitura del leader socialista senza un cambiamento reale e tangibile rispetto a quello che si è visto in questi ultimi anni. Junts deve dire no a Sánchez e a Feijóo senza avere paura delle ripercussioni, anche nel caso in cui si debba tornare alle urne entro Natale. “La nostra priorità è la Catalogna, non la governabilità dello Stato spagnolo”, ha affermato Nogueras. Come prima proposta politica Junts, tramite la presidente del partito Laura Borras, ha proposto ad Esquerra di formare un gruppo unico nel Parlamento spagnolo per avere più forza, stessa proposta avanzata nel 2019 e rifiutata dal partito di Junqueras.
In conclusione il direttore Vicent Partal afferma che la situazione è cambiata e che l’indipendentismo forte deve dimostrare che non è uguale all’indipendentismo morbido. Anche perché bisogna ricordare che l’astensione indipendentista in queste elezioni è stata molto alta e significativa. E questi voti mancati sono quelli dell’indipendentismo forte, non di quello morbido, di gente che ha dimostrato di reggere tutte le pressioni politiche e psicologiche rispetto allo scopo finale dell’indipendenza catalana. Ora è il momento in cui l’indipendentismo forte di Junts, CUP e degli astensionisti deve trovare il modo di coordinarsi per lasciarsi alle spalle nel modo più veloce possibile, questi anni di rinunce e stasi.
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