Elisenda Paluzie conosce bene il nostro indipendentismo. Nel 2009 partecipò alla sesta edizione di Festa Manna organizzata da iRS a Milis. Intervenne in qualità di decana della Facoltà di Economia e Impresa dell’Università di Barcellona alla conferenza internazionale dal titolo “Mediterraneo, Economia e identità”, organizzato dalla LUMs – Lìbera Universidade Mediterrànea sarda, dalla FEM – Federazione delle Entità del Mediterraneo Mare Nostrum e dal CCSI – Centre Culturale Solidaritat Internacional con il patrocinio dell’Associazione Corsica-Catalogna e della vicepresidenza della Generalitat de Catalunya.
Oggi era a Sassari in qualità di presidente dell’ANC per portare la solidarietà della sua organizzazione al presidente in esilio Carles Puigdemont. Franciscu Pala, per Helis, le ha rivolto alcune domande.
“Sono molto contenta per l’accoglienza che ci hanno riservato i sardi, per la loro solidarietà con il presidente Puigdemont e la vicinanza alla lotta catalana per autodeterminazione. Sono molto ottimista riguardo alle decisioni di questa Corte di Appello” ha dichiarato ai giornalisti.
Le chiediamo un’opinione sulla situazione politica attuale in Catalogna e sul ruolo dell’ANC.
In questo momento lo stato dell’indipendentismo catalano continua a essere solido, con una base molto ampia. Alle ultime elezioni abbiamo superato il 52% del voto diretto ai partiti indipendentisti. Quindi stiamo continuando ad ottenere e a rafforzare la maggioranza democratica. E nonostante la pandemia, ora che cominciano a uscirne, il livello della mobilitazione cresce. Abbiamo portato in piazza quattrocentomila persone a Barcellona per la Diada e le manifestazioni di questi ultimi giorni dimostrano che abbiamo recuperato la mobilitazione.
Ma vero che con la mancanza di una rotta condivisa tra i partiti indipendentisti, nonostante governino insieme, non si riesce a intravedere un orizzonte a corto termine né una strategia condivisa per portare a compimento l’indipendenza. Questo sconforta la base indipendentista a cui manca l’unità strategica dell’indipendentismo politico.
In Sardegna, dal nostro punto di vista, ci chiediamo come sia possibile mantenere attive centinaia di migliaia di persone senza che in questo momento ci sia un obiettivo chiaro all’orizzonte. Nonostante questo problema state riuscendo comunque a mobilitarvi.
É molto difficile. Da questa estate abbiamo iniziato nuovamente a fare assemblee nel territorio di tutto il Paese e abbiamo potuto toccare con mano lo scoraggiamento dei cittadini. Abbiamo preso atto dell’impossibilità di ottenere il livello di mobilitazione che avevamo raggiunto negli scorsi anni quando avevamo progetti e obiettivi che ci univano come la consultazione del 9 novembre, come il referendum del 1 ottobre. Era normale in quel momento che una parte enorme della popolazione, che una percentuale molto ampia della popolazione, si mobilitasse. Dobbiamo tenere presente che in questo momento non possiamo avere quel livello di mobilitazione ma il movimento è ancora molto attivo ed è molto importante continuare a tenere alto il livello di attività, come d’altronde stiamo riuscendo a fare.
La forte repressione, le violenze, il carcere, le condanne a decine di anni di prigione per gli esponenti sociali e politici, sono stati colpi molto pesanti. Come riuscite a convivere con il fatto di avere persone in carcere o in esilio a causa del referendum e della dichiarazione di indipendenza e nel contempo avere governi indipendentisti che non portano a compimento l’indipendenza?
È un problema. Perché è chiaro c’è una contraddizione nel fatto, per esempio, che le manifestazioni indipendentiste contro la sentenza di condanna per gli esponenti politici e sociali sono state represse da poliziotti gestiti politicamente da un assessore della Generalitat governata dagli indipendentisti. Questo tipo di dinamiche sta accentuando le contraddizioni e contribuisce allo sconcerto di una parte sostanziale della base indipendentista.
È una situazione complicata perché noi non siamo un movimento sociale che sprona i partiti indipendentisti a fare il loro dovere ma se lo fanno sappiamo che finiranno in carcere.
Questa è una situazione diversa rispetto a quella che vivono altri movimenti indipendentisti che non governano nelle istituzioni: la loro è una rivolta popolare contro il governo. Nel nostro caso invece il fatto di avere partiti indipendentisti che ottengono la maggioranza di governo ci complica le cose. Non hanno il polso abbastanza fermo e nonostante la dichiarazione di indipendenza tornano alle posizioni dei primi anni della mobilitazione indipendentista quando l’obiettivo era chiedere al governo un referendum concordato.
Il lavoro dell’ANC è molto difficile ma continuiamo a spingere piani diversi: la lotta contro lo Stato attraverso l’internazionalizzazione, la mobilitazione, la denuncia della violazione dei diritti fondamentali e la pressione nei confronti dei nostri partiti indipendentisti.
Ci chiediamo come riusciate a gestire a livello sociale tra i cittadini lo scontro tra il 52% indipendentista e il resto della popolazione che non vota indipendentista. Sappiamo che una gran parte di chi non vota indipendentista sarebbe comunque favorevole a un referendum.
Da noi, nonostante tutto, non si è mai rotta la convivenza sociale ad eccezione della minoranza dell’estrema destra di Vox e Ciudadanos che hanno atteggiamenti aggressivi. Non abbiamo assistito ad atti di violenza tra indipendentisti e anti-indipendentisti. Dobbiamo tenere presente che in tutti i sondaggi il 70-80% della popolazione catalana è favorevole al fatto che la decisione si prenda democraticamente con un referendum. Questa gente non è indipendentista ma accetterebbe il risultato di un referendum. Forse rimane un 20% di irriducibili che penso sarebbe molto facile da gestire.
Per noi sardi il livello di organizzazione della Catalogna è attualmente inarrivabile. Anche il grado di coscienza nazionale è molto più basso, stiamo lavorando per farlo crescere come stiamo lavorando all’aggregazione di sigle come iRS, ProgReS e Torra. Ci interessa capire, praticamente, come si può gestire una massa così grande di persone.
La cosa più importate è portare avanti un ragionamento che arrivi a quante più persone possibile. Noi già da quindici anni ci siamo concentrati molto sul discorso economico e sociale. Anche voi in Sardegna avete un’opportunità di dialogo con la società nello spiegare quanto la relazione con lo Stato italiano possa pregiudicare il vostro sviluppo, le grandi imprese. Pensiamo alla cosiddetta monocoltura turistica.
A livello di organizzazione la struttura territoriale, la rete, è basilare. Il vostro obiettivo dovrebbe esser quello di avere un referente, una persona da contattare, in ogni municipio dell’Isola, anche dove ci sono pochi abitanti.
In presenza di molti partiti è difficile che ogni formazione abbia un referente in ciascun Comune, quindi serve più unità, vi aiuterebbe raggruppare alcuni partiti indipendentisti.
In paesi come la Scozia ha funzionato il fatto di avere un solo partito e non hanno avuto bisogno di una ANC. In Catalogna invece questo ha funzionato molto bene per far crescere l’indipendentismo e per strutturarlo attraverso le mobilitazioni unitarie. Se tutti danno un piccolo aiuto si ottimizzano gli sforzi.
Parliamo del futuro. Oggi la Corte d’Appello non ha estradato il presidente Puigdemont come chiedeva lo Stato spagnolo e ha anche impedito a Vox di deporre. Voi siete venuti qui dalla Catalogna come entità sociali, come partiti e come Governo. Da domani, come procederete?
Ogni vittoria giudiziaria in un Paese europeo dimostra che l’autodeterminazione è un diritto e non un delitto. La criminalizzazione del referendum di autodeterminazione promossa dal Governo spagnolo cadrà nei tribunali internazionali come sta cadendo oggi l’estradizione. La Spagna incontrerà sentenze sfavorevoli anche a Strasburgo, in sede europea. Ma questa non è l’indipendenza: dà semplicemente legittimità all’autodeterminazione e all’indipendenza catalana.
L’indipendenza la vinceremo in Catalogna e il segreto è in quel che abbiamo fatto nel referendum del 1 ottobre 2017: uniti in un mandato democratico votato nel Parlamento catalano e con la mobilitazione della cittadinanza, la resistenza civile nonviolenta. Il nostro lavoro è quello di preparare le condizioni affinché, quando sarà il momento, quando saremo pronti, potremo fare una dichiarazione di indipendenza in Parlamento e la difenderemo con la mobilitazione e la resistenza civile nonviolenta della gente.