Le elezioni per il rinnovo della “Assemblea dell’Irlanda del Nord” vedono lo Sinn Féin per la prima volta nella storia primo partito. I repubblicani infatti, con una crescita dell’1,1%, confermano i loro 27 eletti nel Parlamento di Belfast contro i 25 parlamentari del principale avversario DUP – Democratic Unionist Party che ne perde tre rispetto alla precedente tornata elettorale. Un’altra novità assoluta è la terza posizione di Alliance, partito che si definisce come non settario, neutrale nell’ambito dello scontro tra cattolici e protestanti ma sostanzialmente unionista in quanto operante nel quadro dell’entità amministrativa “Irlanda del Nord” e non schierato in merito alla possibilità di un referendum per la riunificazione istituzionale dell’Isola.
Complessivamente i repubblicani sfiorano il 40% dei voti, gli unionisti ottengono poco più del 43% e i non settari di Alliance e dei Verdi raccolgono il 16,5% assieme al piccolo partito di sinistra People Before Profit i cui eletti nel parlamento di Stormont da un lato si registrano come socialisti per non scegliere tra unionisti e nazionalisti mentre sono favorevoli alla riunificazione dell’Irlanda.
Alla luce di questi risultati, nell’ottica di un ipotetico referendum sulla riunificazione istituzionale dell’Isola, è evidente la vittoria dei contrari con il 58,5% contro il quasi 41% dei favorevoli.
60mila nuovi voti in palio
Rispetto alle elezioni del 2017 si sono recati alle urne circa 59mila elettori in più che hanno premiato l’unionismo neutrale di Alliance e, ancor più, i repubblicani di Sinn Féin e della sua scissione moderata ed euroscettica, il neonato Aontú.
La maggiore affluenza a questa consultazione, a prescindere dai risultati dei singoli partiti, ha comportato esiti ben diversi per ciascuno dei tre macrogruppi politici. Gli unionisti sono rimasti in stallo perdendo un’ottantina di voti, gli unionisti non settari hanno ottenuto oltre 20mila voti in più mentre i repubblicani ne hanno conquistati più di 36mila.
Cambia poco in 24 anni
Passando dai voti assoluti alle cifre percentuali, al di là dell’innegabile portata storica e simbolica del passaggio in testa come primo partito dello Sinn Féin, gli equilibri tra unionisti britannici e nazionalisti irlandesi non sembrano affatto cambiati rispetto alla storia recente del Nord Irlanda. Da un raffronto tra quelle di oggi e le elezioni del 1998 per il rinnovo della nuova “Assemblea dell’Irlanda del Nord”, scaturita dalla devoluzione prevista nell’Accordo del Venerdì Santo, possiamo apprezzare come gli equilibri tra i macrogruppi unionista e repubblicano si mantengono pressoché invariati: l’insieme delle forze repubblicane continua dopo più di un ventennio ad attestarsi attorno al 40% mentre a cambiare notevolmente sono gli equilibri interni tra gli unionisti protestanti storici e gli unionisti neutrali e non settari. Circa l’8% degli elettori si è quindi riposizionato da un unionismo classico, duro e puro, euroscettico ed antieuropeo, a un unionismo europeista che supera la contrapposizione religiosa.
Sinn Féin primo partito
In casa repubblicana queste elezioni non hanno portato grandi cambiamenti. Lo Sinn Féin avanza di oltre un punto percentuale e raccoglie il 61% dei voti dei 59mila nuovi votanti, il SDLP – Social Democratic and Labour Party perde circa il 2% mentre si affaccia sulla scena con l’1,5% e oltre 12mila voti la nuova formazione Aontú, che in gaelico equivale a uniti e d’accordo, nata su impulso di un ex deputato feniano su posizioni antiabortiste e di euroscetticismo moderato.
Rispetto alla situazione del 1998 le parti tra Sinn Féin e SDLP, i due maggiori partiti repubblicani, si sono totalmente invertite con una grande crescita dei primi che guadagnano circa 11 punti percentuali e una grande perdita di voti dei secondi (-13%).
L’universo unionista
Nel più articolato mondo unionista da una parte registriamo una forte ascesa del non settario Alliance che ha intercettato quasi il 40% dei 59mila nuovi elettori, dall’altra, a fronte di una percentuale complessiva identica, assistiamo a un potente travaso di voti tra le tre sigle dell’unionismo britannico protestante. A pagare il prezzo più alto è il DUP Democratic Unionist Party che cala di circa 7 punti percentuali seguito dall’UUP Ulster Unionist Party che perde circa il 2%. Capitalizza in modo eclatante, crescendo di 7 punti percentuali, la formazione fondata nel 2007 TUV Traditional Unionist Voice che si oppone all’Accordo del Venerdì Santo, alla condivisione del potere con i nazionalisti irlandesi e alla cooperazione politica con la Repubblica d’Irlanda condendo il tutto con un forte antieuropeismo.
Quindi se da un lato quasi 60mila nuovi elettori premiano i repubblicani dello Sinn Féin e un unionismo moderato, conciliante e aconfessionale dall’altro la tendenza dei circa 628mila elettori unionisti protestanti è quella di spostare il proprio voto in favore di una formazione più pienamente di destra, favorevole alla Brexit senza accordo con l’UE e chiaramente contraria a qualsiasi ipotesi di convivenza politica con i repubblicani irlandesi.
Reazioni politiche internazionali
Dai Paesi Baschi il coordinatore generale di EH Bildu Arnaldo Otegi ha celebrato la vittoria dei repubblicani sottolineando che questo storico evento “apre la strada per un’Irlanda unita e giusta: le cose sembrano impossibili fin quando non si realizzano”.
Dalla Corsica U Ribombu, mensile di Corsica Libera, pubblica una fotografia che ritrae Arnaldo Otegi, Michelle O’Neill e Jean-Guy Talamoni in un atto pubblico accompagnata dalla citazione di Bobby Sands “la nostra vendetta sarà il sorriso dei nostri bambini”.
Dalla Scozia la prima ministra Nicola Sturgeon, leader del SNP Scottish National Party, si complimenta con O’Neil “per il risultato davvero storico” e augura “a tutti i rappresentanti eletti dell’Irlanda del Nord di veder funzionare entro breve il nuovo governo”.
L’amministrazione statunitense guidata da Joe Biden ha chiesto che “in Irlanda del Nord vengano adottate tutte le misure necessarie alla costituzione di un esecutivo”. Il portavoce del Dipartimento di Stato ha dichiarato: “il popolo dell’Irlanda del Nord ha votato per la settima volta dal 1998, data dell’Accordo di Pace del Venerdì Santo. Il progresso politico ed economico che si è vissuto in questo periodo è una testimonianza dei vantaggi di un governo che prevede la condivisione del potere tra le diverse tradizioni dell’Irlanda del Nord. Le sfide critiche e immediate riguardanti l’economia, la salute e l’istruzione vengono affrontate meglio attraverso sforzi collettivi da parte di un governo condiviso. Gli Stati Uniti hanno una relazione profonda e di lunga data con l’Irlanda del Nord, fondata su vincoli di parentela, cultura, commercio e valori condivisi”.
Il nuovo governo passa per Bruxelles
La prima dichiarazione pubblica della capolista dello Sinn Féin Michelle O’Neil dopo i risultati elettorali è stata “Lunedì guiderò il nostro team a Stormont, per mettere soldi nelle tasche delle persone, per investire nel nostro servizio sanitario e costruire un futuro migliore per tutti”.
Ma il sistema istituzionale del Nord Irlanda prevede un esecutivo con condivisione proporzionale del potere tra i diversi partiti in base ai risultati elettorali. Per la prima volta nella storia la carica di primo ministro deve essere ricoperta da un esponente repubblicano, in questo caso Michelle O’Neill, vicepresidente dello Sinn Féin e candidata primo ministro nonché vice primo ministro nordirlandese uscente.
Lo Sinn Féin ha chiesto che Londra e gli unionisti nordirlandesi non pongano ostacoli alla formazione di governo invitando entrambi a non boicottare le procedure istituzionali per la nomina dei ministri e a mettere in funzione l’esecutivo senza tentennamenti. Michelle O’Neil ha affermato che “il messaggio è chiaro: in quanto democratici sia il DUP Democratic Unionist Party che il governo britannico devono accettare e rispettare l’esito democratico delle elezioni. Credo che da oggi si debba formare un esecutivo efficace, non è il caso di aspettare, non c’è motivo di ritardarne la formazione”.
Tuttavia il DUP, secondo partito nordirlandese, ha già avvertito il governo britannico che non condividerà l’esecutivo con lo Sinn Féin a meno che il Regno Unito non intraprenderà “azioni decisive” per sospendere il protocollo Brexit: “abbiamo assunto questa posizione sin da prima delle elezioni e in campagna elettorale. Ora la confermiamo. Fin quando non vedremo che il governo di Londra interverrà sul protocollo Brexit non nomineremo un vice ministro” ha affermato il leader del DUP Jeffrey Donaldson.
Londra da parte sua ha invitato le parti a formare un governo “nel più breve tempo possibile” e ad “agire in modo responsabile” promettendo che “il governo britannico cercherà un nuovo accordo con l’UE sul protocollo Brexit” che per gli unionisti nordirlandesi risulta inaccettabile visto che i nuovi controlli doganali sembrano segnare una rottura tra l’ente amministrativo “Irlanda del Nord” e il Regno Unito.
Anche il primo ministro irlandese Micheal Martin concorda con la necessità della formazione del nuovo governo in tempi stretti e in una telefonata intercorsa con il suo omologo britannico Boris Johnson ha avuto modo di confrontarsi anche sui negoziati aperti tra Regno Unito e Unione Europea per risolvere le questioni aperte della Brexit.
Sul piano legale il Tribunale d’Appello nordirlandese ha sentenziato nello scorso marzo che il Protocollo incluso negli accordi della Brexit per evitare la creazione di un nuovo confine con l’Irlanda è legale. Questo protocollo consente alla “Irlanda del Nord” di restare nel mercato unico dell’UE evitando così l’inasprimento dei controlli di vigilanza doganale presso le frontiere terrestri tra le due Irlande. L’accordo è stato siglato sia da Londra che da Bruxelles ma il governo di Johnson ha minacciato smettere di applicarlo.
Gli unionisti del DUP sono quindi indiscutibilmente sotto pressione, sia perché adesso il rapporto di forza con i repubblicani è invertito sia perché se Londra dovesse decidere di sospendere unilateralmente il protocollo Brexit per evitare il blocco nella formazione del governo di Belfast potrebbero verificarsi una crisi politica interna e una guerra commerciale con l’Unione Europea. La Repubblica d’Irlanda ha chiesto che il Regno Unito eviti qualsiasi tipo di azione unilaterale.
Da parte dello Sinn Féin c’è la disponibilità a sostenere un allentamento delle ferree regole commerciali post Brexit ma non c’è alcuna condivisione dell’atteggiamento del DUP che rischia di tenere in ostaggio la politica e la società del Nord Irlanda. In assenza di accordo di governo potrebbe verificarsi un lungo periodo di stallo politico che potrebbe durare fino a sei mesi e quindi a nuove elezioni.
Il referendum per la riunificazione irlandese è ancora lontano
Il primo ministro britannico ha riconosciuto l’importanza del fatto che per la prima volta dall’Accordo di Pace del Venerdì Santo del 1998 i repubblicani abbiano vinto le elezioni ma allo stesso tempo ha escluso un referendum sull’unificazione dell’Irlanda perché il totale del voto unionista ha raccolto oltre il 40% dei voti.
Fintan O’Toole, editorialista storico del The Irish Times ha descritto l’attuale situazione politica affermando che “la vecchia Irlanda del Nord è morta ma la nuova non può ancora nascere”. Secondo O’Toole le elezioni mostrano che non c’è la maggioranza né per una inglesità rimpicciolita e avvitata su se stessa né per un’Irlanda unita. Citando Antonio Gramsci il giornalista ricorda che “la crisi consiste nel fatto che il vecchio muore e il nuovo non può nascere”.