Istruzione, Soru a Siniscola: «Scuola dev’essere la più importante
infrastruttura della Sardegna»
«L’istruzione è la massima forma di giustizia sociale e la più
importante infrastruttura su cui la Sardegna deve investire per
assicurarsi un futuro, anche grazie a un piano straordinario per la
scuola». Con queste parole, Renato Soru ha chiuso ieri sera a Siniscola
l’incontro dedicato a “Dispersione scolastica e politiche attive del
lavoro”. Nella sala della Fondazione Farris Tedde, con l’organizzazione
del Partito della Rifondazione comunista, il candidato presidente della
Coalizione sarda ha partecipato a un dibattito che ha visto intervenire
insegnanti, sindacalisti, esponenti politici locali e il segretario
regionale del PRC Enrico Lai. Tutti hanno ribadito le condizioni
disastrose del sistema dell’istruzione e formazione nell’isola e
richiamato l’attenzione sulle azioni che la Regione può intraprendere
per combattere la dispersione scolastica e mettere in moto iniziative di
inclusione sociale e rafforzamento delle competenze utili per l’ingresso
nel mondo del lavoro.
«Negli anni ‘60 e ‘70 – ha detto Soru – pensavamo che la petrolchimica e
la grande industria avrebbero permesso alla Sardegna di uscire dal
sottosviluppo. Oggi invece, anche con l’opportunità data dai 10 miliardi
di euro di risorse europee da spendere entro il 2027, la nostra
intelligenza deve diventare la nostra grande industria intangibile.
Nasce nelle nostre case e nelle nostre famiglie come in tutto il resto
d’Italia e del mondo, ma dobbiamo avere la pazienza di accudirla e
alimentarla fin dai primi anni di vita dei nostri ragazzi per metterla a
frutto e costruire un futuro migliore».
«La scuola è la prima infrastruttura che dobbiamo fare, più importante
di qualsiasi opera pubblica», ha spiegato il candidato presidente, che
poi ha passato in rassegna le proposte in merito della Coalizione sarda:
«Ci vogliono – ha detto – una nuova legge regionale sulla scuola e un
piano straordinario per l’istruzione, che prenda per mano i bambini
della prima elementare, impedisca che non si perdano, fornisca le
competenze necessarie nel mondo di oggi e li accompagni fino alla
laurea».
L’istruzione, secondo Renato Soru, «è la massima forma di giustizia
sociale, un patrimonio da garantire a tutti soprattutto a chi parte da
condizioni più difficili: dobbiamo aiutare le famiglie, i genitori e
fare in modo che anche i ragazzini usciti dalla scuola possano fiorire,
anche andandoli a recuperare uno per uno. Perché contrastare la
dispersione scolastica è la prima e fondamentale politica attiva per il
lavoro: se non interveniamo sulla dispersione, stiamo creando nuovi
problemi per il futuro».
«Dal 2000, con la riforma del titolo V– ha continuato Renato Soru -, la
Sardegna ha la competenza concorrente con lo Stato in tema di scuola ma
l’ha utilizzata poco o nulla. Abbiamo visto come lo Stato si sta
ritirando da tutto e pensa con cinismo solo a tagli, come per il nuovo
piano di dimensionamento scolastico di cui si discute in questi mesi.
Ecco – ha aggiunto –, va discussa una norma di attuazione che chiarisca
questa competenza concorrente regionale nella scuola: in modo che anche
su cose come il dimensionamento scolastico possiamo dire la nostra e nel
caso intervenire, anche con risorse. Perché non ha senso che un
dirigente gestisca 12 plessi scolastici: così la scuola è solo un
meccanismo che non è attento ai bisogni dei bambini».
Poi, «vogliamo una scuola che sia sempre aperta: a tempo pieno e aperta
fino a tardi per sottrarre i ragazzi dai bar in tutti dai bar ed essere,
soprattutto nei paesi, un luogo aperto, un presidio culturale e sociale
per i giovani e anche per i meno giovani, dove si possano fare
laboratori e seguire attività. E sono d’accordo con quanto è stato detto
stasera: le scuole devono essere belle, perché la bellezza educa e così
i ragazzi potranno imparare a vivere diversamente la scuola e ci
torneranno volentieri».
Infine, ha concluso il candidato presidente, «è fondamentale che la
lingua, la cultura e l’arte sarda vengano insegnate nelle scuole: i
ragazzi devono conoscere i luoghi dove crescono e devono avere quel
pezzo di cultura che a noi, nei nostri percorsi scolastici, è mancata».