Intervento di Nicoletta Pucci, co-portavoce di Sardegna Chiama Sardegna, in occasione della presentazione della lista “Vota Sardigna!”, Oristano, 17 dicembre 2023.
Buongiorno a tutte e tutti,
mi chiamo Nicoletta Pucci e sono la co-portavoce di Sardegna chiama Sardegna. Come tanti, io faccio parte di quella generazione di giovani che fino a qualche anno fa pensava che la Sardegna fosse una terra arida, manchevole di stimoli e opportunità di una giusta stabilità personale. Ho deciso, quindi, di fare quello che pensavo fosse un biglietto di sola andata per studiare fuori, dove ero davvero convinta che avrei potuto trovare la mia dimensione. Però, la lontananza mi ha permesso di maturare la consapevolezza che un territorio come il nostro non è e non deve essere destinato all’immobilismo e al declino sociale, politico ed economico.
Ho scelto, dunque, di tornare perché sono convinta fortemente che la Sardegna possa essere una terra dove si può vivere, e si può vivere bene. Sono tornata e ho capito che lottare per recuperare lo spazio democratico che da anni si è perso, perché la politica è sempre più distaccata dalla realtà e dai territori, è necessario per garantire un futuro e per uscire dal declino inesorabile che si sta vivendo in Sardegna e che negli ultimissimi anni è peggiorato drasticamente. Sono tornata anche consapevole di accettare una situazione lavorativa precaria perché sono convinta ulteriormente che questo cambiamento sia possibile e che io posso prenderne parte attivamente, in quanto giovane e in quanto donna.
Per questi motivi ho scelto di fare politica attiva, per questi motivi ho scelto di prendere parte a Sardegna chiama Sardegna, in cui non solo la mia biografia, ma anche quella di tutte le persone che fanno parte di questo movimento si intrecciano tra loro a formare un filo rosso di precarietà lavorativa, economica e sociale. Dopo un anno e mezzo di attività, oggi, insieme ai nostri compagni di viaggio iRS e ProgRes, vogliamo offrire la possibilità di guardare oltre tutto questo, per un cambiamento radicale che coinvolga tutte e tutti, per restituire la bellezza della partecipazione politica. Solo così possiamo uscire dal manto di invisibilità in cui siamo confinati.
Ed è proprio parlando invisibilità politica da combattere in ogni contesto e in ogni forma, che trovo particolarmente urgente parlare di quella di noi donne, ancora troppo poco presenti o quasi sempre relegate ai margini di una politica ad impronta ancora fortemente patriarcale. Basti pensare alla legge elettorale che, a causa del meccanismo dell’eguale misura delle percentuali di genere nelle liste elettorali, fa perdere di efficacia la doppia preferenza di genere a svantaggio del genere meno rappresentato, che ovviamente è quello femminile. Le donne non possono più svolgere una funzione di prestanome e poniamo con forza la necessità di risolvere per via legislativa questa assurda ingiustizia!
E, sfortunatamente, questo discorso non si limita alla sola politica: quante volte, nella vita, a tutte noi ci è capitato di subire discriminazioni? È una cosa, questa che viviamo sulla nostra pelle ogni giorno!
Il patriarcato si insinua nelle piccole cose, quotidianamente: in famiglia, a lavoro, nei luoghi privati e in quelli pubblici, come gli ospedali, i consultori, nelle sedi delle forze dell’ordine, dove non mancano mai episodi di discriminazione e giudizio morale nei confronti delle donne che cercano aiuto in situazioni di pericolo, o che, semplicemente, vogliono accedere a quelli che dovrebbero essere diritti garantiti dallo Stato.
La disparità di trattamento tra genere maschile e genere femminile, che spesso porta a una dipendenza anche e soprattutto economica delle donne dagli uomini, è un dato oggettivo e il patriarcato è un trend culturale che noi dobbiamo assolutamente spezzare, per incentivare sempre di più l’autodeterminazione della donna e la possibilità di liberarsi da situazioni di abuso, ancora spesso troppo presenti, specialmente negli ambiti familiari. Solo quest’anno i femminicidi ammontano a 109 vittime, una donna ogni 72 ore circa, e quella che i media chiamano un’”emergenza” è in realtà un problema strutturale che ci riguarda, anche qui, e che deve impegnare il prossimo governo regionale – perché noi saremo nel prossimo governo regionale! – ad azioni sul piano educativo, dei servizi socio-sanitari, del supporto alle vittime di violenza.
Ho scelto di fare politica attiva perché penso che la mia voce e la voce di tutte le altre donne non debbano essere più marginali. Ho scelto, perché voglio fare parte di un cambiamento che vuole davvero essere un punto di rottura con il passato e che sia davvero plurale e inclusivo. Ho scelto, perché nella nostra isola si deve portare avanti una politica educativa e informativa che riesca a spezzare le catene del patriarcato e delle disuguaglianze. Ho scelto perché voglio una politica che concretamente, e non solo a parole, costruisca nuovi strumenti di autodeterminazione femminile, perché il cambiamento o sarà femminista o non sarà!