Intervento di Adriano Sollai, Segretario Nazionale di ProgReS, al convegno “Percorsi di indipendenza in Europa di Palermo, 31 marzo 2022, organizzato dall’Associazione Trinacria, al quale hanno partecipato delegazioni internazionali di European Free Alliance, Scottish National Party, Ghjuventù Indipendentista, Cup, Més e ProgReS.
di Adriano Sollai
Ringraziamo l’associazione Trinacria per averci dato la possibilità di intervenire a questo convegno che vuole essere un’occasione per noi indipendentisti sardi di intraprendere delle utili relazioni con altre organizzazioni che si battono per la libertà delle proprie Nazioni nel mediterraneo a cominciare proprio della Sicilia un’isola a noi vicina e con la quale condividiamo tante questioni in comune che potremmo decidere di affrontare in maniera più sinergica.
Situazione politica attuale in Sardegna
La Sardegna, come è noto, gode di un’Autonomia Speciale che le attribuisce competenze legislative – esclusive e concorrenti con quelle dello Stato – ed il funzionamento della sua macchina amministrativa è normato dallo Statuto approvato con legge costituzionale nel 1948. Questa condizione di specialità non ha tuttavia consentito alla Sardegna di crearsi uno sviluppo autonomo e slegato degli interessi dello Stato centrale, infatti la classe politica locale – espressione dei partiti e dei gruppi di interesse italiani – ha impedito sempre una seria negoziazione Stato-Sardegna volta a garantire un diffuso benessere della popolazione sarda.
Lo scontro, neppure quello istituzionale, è contemplato da questa classe politica “autonomista” la quale vive nella luce riflessa dei mandanti italiani: settant’anni di Autonomia hanno dimostrato che questa formulazione istituzionale non può funzionare per governare gli interessi della Nazione sarda.
In concorrenza con il concetto autonomista, sin dagli anni sessanta, si è formato e sviluppato un pensiero indipendentista basato sulla necessità di emancipare la Nazione sarda dalla gabbia di uno Stato italiano che ha sempre considerato la Sardegna come una colonia interna; l’idea indipendentista ha da subito trovato diffusione nel nostro Popolo fino a condizionare, anche se solo formalmente, i partiti più spiccatamente autonomisti: basti pensare che lo stesso Partito Sardo d’Azione, che in questo momento esprime il Presidente della Regione, formalmente e per statuto è un partito indipendentista o che si definisce tale.
Il pensiero indipendentista quindi non viene mai pubblicamente avversato dalla classe politica e questo perché i partiti italiani che operano in Sardegna – e anche i partiti autonomisti – sono ben consapevoli del forte radicamento dell’idea indipendentista nel nostro Popolo, tant’è che noi diciamo sempre che durante il periodo della campagna elettorale tutti si danno una bella “tinteggiata” di indipendentismo per poter avere maggiore consenso.
Nonostante ciò le organizzazioni indipendentiste non hanno una rappresentanza istituzionale capace di modificare questo quadro politico italiano e questa assenza è determinata nell’attualità da due fattori: il primo – e lo diciamo perché l’autocritica fa sempre bene – è dato dall’incapacità organizzativa delle numerose organizzazioni, movimenti e sigle nazionaliste nel trovare forme politiche capaci di catturare il consenso elettorale oltre a quello ideale; l’altro problema che abbiamo è una legge elettorale che è stata volutamente predisposta dai poli italianisti – centrodestra e centrosinistra – per evitare qualsiasi forma di opposizione e qualsiasi tentativo di scardinare questo quadro politico italiano.
Nel 2014 ProgReS si è fatto promotore di un’operazione politica innovativa ed è riuscito, attraverso questa formulazione, a raggiungere col candidato Presidente indipendentista 75000 voti: nonostante ciò e nonostante queste decine di migliaia di voti nessun indipendentista è riuscito ad essere eletto nel Consiglio Regionale. Esiste quindi un’assenza di rappresentanza particolarmente forte. Successivamente, nel 2019, ci sono state altre formule che sono state elaborate anche da noi – in particolar modo ProgReS ha contribuito a dare vita ad una formazione elettorale “Sardi Liberi“ – che hanno raccolto decine di migliaia di voti: complessivamente con le altre liste e schieramenti indipendentisti sono stati raggiunti 57000 voti, eppure anche in quell’occasione nessuno indipendentista è stato eletto nel Consiglio Regionale.
Questa situazione di mancanza di rappresentanza è in qualche modo mitigata dal fatto che le organizzazioni e i movimenti indipendentisti hanno diversi amministratori locali: ci sono diversi sindaci, assessori e diversi consiglieri comunali che, tra l’altro, sono riuniti in un’associazione che si chiama “Corona de Logu”, associazione che coordina l’attività di intervento dei rappresentanti delle amministrazioni locali e che nel nome vuole ricordare un’istituzione dell’epoca giudicale – una sorta di “Parlamento” – depositario della sovranità Nazionale che controllava l’operato del sovrano e poteva pure destituirlo; questo, volendo ripercorrere un po’ di storia, ci dimostra quanto certe istituzioni dell’epoca – in quelle che sono le Nazioni senza Stato – fossero molto più all’avanguardia di altre.
ProgReS – Progetu Repùblica de Sardigna
ProgReS significa Progetu Repùblica de Sardigna, questo è il nostro progetto da repubblicani: costruire una Repubblica in Sardegna; il nostro Partito esiste dal 2011, vogliamo – e cerchiamo quotidianamente – di dare alla lotta di Liberazione Nazionale un approccio moderno, originale e sempre inclusivo. Far parte di ProgReS significa far parte di una comunità politica democratica: noi siamo contro ogni forma di personalizzazione della politica e contro derive leaderistiche; stiamo lavorando attivamente per cercare di costruire una “Cuncordia Natzionale” con tutte le organizzazioni politiche indipendentiste e da circa un anno abbiamo intrapreso un cammino di dialogo con altri indipendentisti repubblicani – che fanno parte del movimento politico iRS (Indipendentzia Repùbrica de Sardigna) e del comitato spontaneo “Torra!” – volto a superare delle fratture storiche che ci sono state nel passato; questo processo di dialogo prende il nome di “Est Ora” e insieme abbiamo dato vita ad un periodico di informazione e dibattito pubblico “Helis”; il nostro obbiettivo a medio termine è quello di rilanciare, rafforzare e radicare l’ideale indipendentista del nostro Popolo per mettere in moto un processo di Liberazione Nazionale in grado di interessare tutti gli ambiti della società sarda.
Cultura
Ci sono tanti temi su cui mi sarei voluto dilungare ma voglio iniziare dal tema della cultura perché è importante anche alla luce delle ragioni per cui siamo stati invitati a questo convegno e della ragione per cui questo convegno si svolge: la ricorrenza dei Vespri Siciliani.
Noi abbiamo subito un intervento di italianizzazione forzata che ha rappresentato, e continua a rappresentare, un fertilizzante ideologico che ha fatto crescere nella nostra gente un diffuso sentimento di inferiorità culturale: la nostra lingua sebbene tutelata anche da una legge dello Stato italiano è relegata al ruolo di “dialetto”, non gode di alcuna considerazione nella scuola né tanto meno dell’ufficialità, nonostante il sardo sia compreso e parlato diffusamente.
Per la prima volta nella nostra storia sta accadendo qualcosa di drammatico: i bambini e i ragazzi più giovani non parlano più la loro lingua e questo è un problema molto serio che deriva dal fatto che il sardo non riesce ad ottenere quell’ufficialità di cui necessita e lo spazio all’interno delle scuole ma deriva anche da quella auto-colonizzazione che viene indotta in maniera subdola.
Precedentemente in questo convegno si parlava – ed era interessante l’argomentazione – del travisamento della storia siciliana, in particolar modo della storia dei Vespri Siciliani; ora voglio dire che la storia Sarda non viene travisata: la storia sarda non esiste per la scuola, la storia della Sardegna non esiste nonostante ci siano libri su cui poter scrivere pagine e pagine della nostra storia dalla civiltà nuragica, all’epoca medievale, all’epoca dei Giudicati e dei Regni; tutto viene accuratamente ignorato dalla scuola italiana in Sardegna per le ragioni che ovviamente ben conosciamo.
Economia
Perché la Sardegna è una colonia interna dello Stato italiano? Tenete conto che la Sardegna è una delle regioni più povere d’Europa: ha una superficie molto grande, siamo un milione e seicentomila abitanti, abbiamo un sacco di risorse con le quali potremmo vivere serenamente e invece viviamo in una situazione economica drammatica con una fortissima emigrazione e con la disoccupazione a livelli drammatici.
Questo è il risultato di una politica centralizzata verso gli interessi italiani: negli anni ’60 con il “Piano di Rinascita” lo Stato italiano intraprese un’industrializzazione forzata della nostra isola, più preoccupato da profili di ordine pubblico che dalla volontà di consentire alla Sardegna di sviluppare la propria economia prevalentemente orientata nel settore Agro-pastorale. Questo passaggio è risultato decisivo nel disorientare la nostra gente che improvvisamente si è trovata a vestire i panni di una classe operaia confusa e denazionalizzata e che ha dovuto fare i conti prima con un’industria altamente insalubre – quella petrolchimica – e poi con la deindustrializzazione degli anni ’80 che è stata incapace di riconvertire e bonificare le aree compromesse del nostro territorio.
Anche nel recente passato ci sono state vertenze che dimostrano in quale difficoltà il nostro Popolo si trova; ne voglio ricordare una che è stata particolarmente importante: nel 2019 i pastori hanno deciso di scendere in piazza e, attraverso una simbolica protesta, gettavano per le strade il latte appena munto, questa protesta è andata avanti per settimane con una grande solidarietà Popolare. Un litro di latte all’epoca veniva pagato sessanta centesimi: sostanzialmente i pastori con questa protesta volevano dimostrare che non aveva nessun senso continuare a mungere le pecore per poter ottenere un prezzo così basso.
Anche in questa occasione è successo che quella politica che in qualche modo avrebbe potuto dare delle risposte ha utilizzato quelle proteste per cercare consenso, in particolar modo nel periodo elettorale: il Partito Sardo d’Azione riuscì a vincere le elezioni appoggiato dalla Lega Nord che, attraverso il suo Segretario Salvini, si fece particolarmente attiva nel promettere ai pastori un prezzo del latte più alto. Promessa che – ovviamente- finite le elezioni non è stata mantenuta; ma dopo le proteste è rimasta la repressione dello Stato perché attraverso il “Decreto Sicurezza” (approvato proprio su iniziativa dell’allora Ministro degli Interni Salvini) è stato ripristinato ed inasprito il reato di blocco stradale che prevede pene fino a 12 anni: ora stiamo facendo queste battaglie, davanti ai Tribunali, perché decine e decine di pastori che hanno portato avanti quella proteste sono stati imputati.
Colonizzazione energetica
La transizione energetica deve essere giusta ed eco-compatibile, vale a dire a vantaggio del popolo sardo, invece si prevede che le isole e il sud Italia vestano il ruolo di esportatrici nette di energia verso le aree di maggior consumo (parte del sud, il centro e il nord Italia). Nell’ambito di questo disegno centralista, si tratta di continuare a puntare sul gas, misconoscendone l’impatto ambientale, e di realizzare grandi impianti da fonti rinnovabili, spesso costruiti su preziosi terreni agricoli o a copertura di pregressi disastri ambientali.
L’obiettivo è estrarre il maggior profitto possibile da queste terre. Questa tendenza oggi è ben esemplificata dall’elettrodotto sottomarino (il Tyrrhenian link) con cui Terna vorrebbe collegare la Sardegna alla Sicilia e quest’ultima alla Campania: il ruolo di esportatrice è stato imposto alla Sardegna, che ogni anno invia verso il Continente una quantità di energia pari al 30% della sua produzione totale e al 40% del proprio fabbisogno.
Con il nuovo elettrodotto, le esportazioni sono previste in aumento e il processo di trasformazione in una colonia energetica riguarderà anche la Sicilia: si tratta di ospitare una produzione che non è tarata sul proprio fabbisogno, proprio perché si viene orientati all’export. In sintesi, più grandi impianti da fonti rinnovabili e più centrali a gas a loro supporto; al contrario, in Sicilia come in Sardegna si può dar vita a un modello eco-compatibile e vantaggioso sul piano economico. Come? Puntando sulle comunità energetiche in abbinata alle reti intelligenti, costruendo un sistema basato su impianti di piccola taglia da fonti rinnovabili orientati al consumo istantaneo e locale: l’unico in grado di realizzare indipendenza energetica e metterci al riparo da pericolose dipendenze.
Occupazione militare della Sardegna
Voglio infine occuparmi di quella che è la madre di tutte le nostre battaglie: quella contro l’occupazione militare della Sardegna. La Sardegna sopporta ormai da 70 anni un’occupazione militare senza uguali: il 60% delle strutture e delle installazioni militari dello Stato Italiano sono in Sardegna: abbiamo tre poligoni che sono i più grandi d’Europa dove periodicamente vengono svolte delle esercitazioni, dove periodicamente vengono testati nuovi armamenti dall’industria privata e dove periodicamente si creano delle situazioni drammatiche per le popolazioni che insistono in quei territori.
Da questo dipende un sottosviluppo economico perché dove ci sono le basi militari non può esserci nient’altro: non ci deve essere altro perché più quei terreni sono disabitati meglio è, e nessuna attività economica può essere consentita vicino alle basi militari. Questo è un problema anche di carattere ambientale e sanitario non indifferente: la stessa magistratura italiana si è dovuta occupare della questione e ha iniziato dei processi per disastro ambientale e per omicidio plurimo. Purtroppo l’esito di questi procedimenti è tutt’altro che confortante e positivo essendo nell’ultimo periodo la magistratura occupata a perseguire chi manifesta contro le basi, tanto è vero che ci sono a processo decine di militanti e di attivisti accusati di tutta una serie di atti che avrebbero commesso durante le manifestazioni con l’aggravante del terrorismo.
Nel 2014 abbiamo organizzato con tutte le forze indipendentiste una grande manifestazione davanti al poligono di Capo Frasca, uno dei più importanti, in cui si svolgono attività devastanti, eravamo oltre 12000. Anche su questo fronte riusciamo a lavorare e a coinvolgere la popolazione, il problema è che, come sempre, quando qualcosa sta funzionando intervengono gli strumenti repressivi che scoraggiano anche la partecipazione a queste manifestazioni.Volevo infine fare un appello, l’ho fatto già qualche settimana fa quando sono stato intervistato dal giornale basco “Berria”: la lotta contro l’occupazione militare deve essere patrimonio comune di tutte le Nazioni senza Stato perché la nostra è una lotta per la salute e per l’ambiente ma anche contro la guerra: voglio oggi in questa importante e rappresentativo consesso nella terra di Sicilia rinnovare questo invito a intraprendere un tavolo di lavoro che porti ad un’azione comune di opposizione verso l’occupazione delle nostre terre da parte delle forze militari straniere, una battaglia comune su questo fronte rafforzerà reciprocamente tutti i nostri popoli nel loro percorso verso l’indipendenza.