di Gianluca Serrenti
Magari la scuola non è la tematica più affascinante e coinvolgente del mondo, eppure sarebbe necessario capire che proprio essa è assolutamente essenziale e cruciale per creare la totale consapevolezza del nostro essere Nazione Sarda (con tutto ciò che questo comporta), passo imprescindibile per il conseguimento dell’obiettivo libertario che è il faro che ci guida.
Ogni anno che passa vivo con disagio sempre crescente – penso comune a molti insegnanti – l’impianto e il contesto organizzativo, burocratico, culturale che la Pubblica Istruzione ha imposto anche alla nostra scuola di Sardegna. E via via che gli anni scolastici si susseguono, mi accorgo di diventare sempre meno tollerante e sempre più insofferente rispetto a questo modello che a tutti i livelli percepisco intruso ed alieno (sarà anche che l’avanzare dell’età è inversamente proporzionale alla pazienza).
Modello che, per rimanere nell’ambito della nostra Isola, ha clamorosamente fallito come evidenziano puntualmente le impietose statistiche, elaborate da vari enti e organismi, che vedono immancabilmente la Sardegna agli ultimi posti per gli aspetti positivi e ai primi per quelli negativi.
Il fenomeno più macroscopico è senza dubbio quello, annoso, dell’abbandono scolastico, in cui noi siamo notoriamente maglia nera. È di questi giorni l’ennesimo studio della CGIA che certifica come, drammaticamente, l’Italia abbia una dispersione scolastica 8 volte superiore ai “cervelli in fuga” piazzandosi al terzo posto nell’UE, col 13,1% equivalente a 543.000 giovani che nel 2020 hanno lasciato la scuola dopo il conseguimento della licenza media.
Anche il recentissimo rapporto del tanto contestato e vituperato INVALSI contribuisce a delineare un quadro tutt’altro che lusinghiero, nel quale emerge chiaramente come la pandemia, con la conseguente attivazione della cosiddetta e famigerata “DaD”, non abbia fatto altro che accentuare ed aggravare i problemi già esistenti, producendo (soprattutto alle superiori, ma anche alle medie, per parlare della realtà che personalmente conosco meglio) danni enormi sull’apprendimento degli alunni. Non che ci fosse bisogno delle doti divinatorie di Nostradamus o dell’intelligenza di Einstein per poterlo prevedere e capire.
Ebbene, nel succitato rapporto si legge che, se nel 2019 la dispersione scolastica implicita (il numero di giovani che conseguono il diploma con competenze pari, al massimo, a quelle del biennio iniziale della scuola secondaria di secondo grado) raggiungeva il 7%, adesso la percentuale si attesta al 9,5%; nello specifico sardo, l’Isola fa registrare il 15,2%. In crescita notevole risulta anche il numero di dispersi espliciti, gli studenti cioè che hanno abbandonato la scuola prima del diploma.
Più in dettaglio, in Italia alla secondaria di primo grado il 39% degli studenti non ha conseguito risultati adeguati in italiano ed il 45% in matematica, con riscontri ancora peggiori alla secondaria di secondo grado, dove i due valori salgono al 44% e al 51% rispettivamente. La dispersione scolastica totale (implicita + ELET, acronimo di early leaving from education and training) è del 23%.
In modo per nulla inatteso la Sardegna riesce a conseguire risultati ancora più scadenti: alle superiori il 53% degli alunni non raggiunge il livello minimo delle competenze in italiano, posizionandosi alle spalle di Campania e Calabria (64%), Puglia (59%) e Sicilia (57%). In matematica la percentuale negativa di studenti sotto la soglia fatidica sale ancora, facendo registrare un disarmante 63%. Per non parlare poi della situazione dell’inglese (ahimè), con un altro 63% di discenti sotto il livello di preparazione per quanto concerne la lettura e addirittura il 71% per quanto attiene all’ascolto. Sempre secondo questi dati, la dispersione scolastica totale sfiora attualmente il 28%, anch’essa ben al di sopra dunque della media statale.
Tutto ciò ha avuto esiti assolutamente nefasti, in particolare, sull’esame di Stato (ex esame di maturità) col numero più alto di non ammessi allo stesso (tra i 1.100-1.200 alunni, pari ad un tasso dell’8,5% contro la media italiana del 3,8%), in un mix letale fatto di scarsa preparazione e profitto (legati a lacune pregresse), mancanza di requisiti (come un’adeguata frequenza a causa di un alto numero di assenze) e complicazioni dovute ai limiti della suddetta DaD.
Tali dati confermano ancora una volta il fiasco totale, l’insuccesso epocale, il naufragio generale della Pubblica Istruzione in Sardegna, in una situazione che è andata progressivamente consolidandosi fino a cronicizzarsi in maniera tanto deleteria quanto sistemica. Perciò, in modo, credo, del tutto lecito e legittimo, mi chiedo: ma non sarà che tutto ciò è un sintomo di quella famosa costante resistenziale sarda che si manifesta in primis in ambito culturale? Come se, anche (o soprattutto) inconsciamente, il popolo sardo fosse refrattario alle forme e ai contenuti della scuola italiana e li rifiutasse quasi d’istinto, non sentendoli propri ma al contrario imposti forzatamente dall’esterno! Sarà forse per decenni e decenni di negazione, spoliazione, deprivazione e denigrazione di lingua e civiltà autoctone che generazioni e generazioni di studenti sardi hanno dovuto subire, anche con metodi coercitivi? Sarà per tutti quei piccoli plessi cancellati, per tutte quelle scuole scomparse e immolate sull’altare della spending review di turno (è così che si risana il debito pubblico, risparmiando in settori strategici quali scuola e sanità, sanità e scuola!) costringendo conseguentemente al pendolarismo gli scolari fin dalla tenera età? Sarà che tuttora nei programmi della scuola italiana in Sardegna non vi è praticamente traccia di quest’ultima? Essendo ovviamente e immancabilmente tutto inquadrato in un’ottica proveniente da oltre Tirreno.
Qualcuno obietterà: ma ci sono gli strumenti legislativi per garantire, anche da noi, la tutela delle peculiarità etniche che trovano espressione in quelle che usualmente vengono definite lingue e culture minoritarie. Non c’è dubbio ed infatti è proprio qui che vi volevo: le leggi RAS 26/97 e 3/2009 più una statale, la 482/99. Va detto subito, a scanso di equivoci, che qui vale lo stesso discorso che si applica allo Statuto speciale di autonomia: già è ampiamente inadeguato (e oramai obsoleto), figuriamoci se neanche viene applicato in tutte le sue potenzialità! In queste leggi si parla infatti di sperimentazione, cioè della possibilità di realizzare progetti sperimentali di istruzione scolastica in lingua sarda o altri idiomi (catalano, tabarchino, sassarese e gallurese) rappresentativi dell’Isola. Mi pare evidente dunque che, finché non si uscirà da questa logica e perimetro di sola sperimentazione (tra l’altro portata avanti a dir poco a macchia di leopardo), non si faranno significativi progressi nella direzione di un pieno ed univoco riconoscimento (e quindi fruizione) della lingua e civiltà nostrane.
Quello che intendo dire è che esse vanno finalmente e definitivamente istituzionalizzate nel senso che devono diventare parte integrante, organica e obbligatoria dell’orario curricolare di lezione, non più affidate al semplice capriccio o benevolenza di qualche adulto illuminato che, di sua spontanea iniziativa, come genitore iscrive il proprio figlio avvalendosi dell’opzione insegnamento della lingua di minoranza o come insegnante, sulla base di specifiche competenze, propone un progetto “identitario” alla classe. A quel punto andrà sempre (e non facoltativamente come accade ora) previsto l’inserimento del sardo nel PTOF (piano triennale dell’offerta formativa) e, per quanto riguarda la lingua in particolare, essa dovrà continuare ad essere tanto oggetto quanto strumento d’insegnamento, garantendone quindi il suo utilizzo veicolare.
Anni fa (era esattamente l’anno scolastico 2014-15) semplicemente perché io, che insegno lingue straniere, mi sentivo di colmare un vuoto culturale, mi offrii di realizzare nella mia scuola (il glorioso Istituto Comprensivo S. Domenico Savio ora smembrato e soppresso dalle logiche ragionieristiche dello Stato italiano), a titolo completamente gratuito, senza retribuzione aggiuntiva, un corso di 15 ore, sotto forma di progetto, dal titolo Sardus chi caminant in su mundu, con queste finalità educative: risvegliare l’interesse verso le proprie radici ed origini e, partendo da queste, aprirsi progressivamente verso il vasto mondo; capire l’importanza della lingua e cultura di Sardegna come strumento per veicolare la propria identità; raffrontare la lingua e cultura d’origine, di cui si è portatore, con le altre con cui l’allievo è venuto a contatto per abitudini di vita o studio scolastico (italiana, inglese, francese); capire e rispettare i valori che sottendono le lingue e culture diverse da quella d’appartenenza, in un piano di perfetta parità e dignità nonché comprensione reciproca.
Me la sentivo di farlo e l’ho fatto, pur tra mille difficoltà (tra l’altro solo dopo mesi son riuscito a far spostare da una sede all’altra una LIM che mi occorreva) e qualche mugugno da parte di colleghi che però, in genere, hanno accolto la mia iniziativa almeno con benigna sopportazione o, talvolta, neutrale indifferenza.
Eppure, come ho tentato di spiegare prima, non si dovrebbe lasciare alla discrezionalità del singolo una materia così delicata e strategica per le sorti della nostra nazione. Noi come corpo docente, a qualsivoglia livello, di qualsiasi ordine e grado, o area disciplinare di competenza, abbiamo un’enorme responsabilità, fare in modo che nei programmi ministeriali, opportunamente rimodulati ed integrati a seconda dei nostri bisogni ed esigenze, ci sia sempre più Sardegna, declinata in tutta la sua ricchezza e varietà, sfruttando al massimo gli strumenti normativi attualmente in vigore finché (spero vivamente al più presto) non vi sarà qualche legge più innovativa, lungimirante, idonea e, perché no, coraggiosa che, come detto, istituzionalizzi l’uso della lingua e cultura dell’Isola.
Sono assolutamente convinto che, una volta fatto ciò, nel giro di pochi anni si potrebbe pervenire a quella consapevolezza e presa di coscienza piena e completa di cui parlavo all’inizio e che consentirebbe una forte accelerata al nostro processo democratico di emancipazione nazionale. Io credo che già adesso la maggioranza dei Sardi sia indipendentista, ma senza saperlo. La scuola, come la vorrei e come l’ho descritta, è dunque semplicemente indispensabile, la vera chiave di volta, per aiutare i nostri compatrioti ad aprire gli occhi, trarre le logiche conseguenze e giungere alle corrette conclusioni su quali debbano essere il futuro ed il destino della nostra amata terra.